Il vescovo Giovanni ha voluto proseguire la tradizione inaugurata da monsignor Tardelli e portata avanti da monsignor Migliavacca, dell’annuale incontro con i giornalisti e gli operatori della comunicazione del territorio. Erano presenti il direttore di Toscana Oggi, Domenico Mugnaini, l’addetta stampa del comune di San Miniato, Federica Antonelli, e numerosi operatori della carta stampata, di testate online, radio e televisioni locali.
L’incontro si è svolto lo scorso 11 maggio a San Miniato nei locali della Nunziatina. Al termine della cena, il vescovo ha illustrato il messaggio del Santo Padre per la giornata delle Comunicazioni Sociali 2023, dal titolo «Parlare col cuore. “Secondo verità nella carità” (Ef 4,15)». «Il contributo grande che chi si occupa di comunicazione può dare alla realtà sociale in cui viviamo – ha detto il vescovo – è quello di favorire una comunicazione che sia cordiale, cioè del cuore». Una comunicazione che non si ferma ai pregiudizi, preconcetti e alle visioni ideologiche ma arriva a ciò che è «vero e corrispondente ai desideri di bellezza, di verità, di giustizia, d’amore che sono al fondo del nostro essere» (biblicamente, il cuore). Si tratta di essere fedeli alla realtà che ci sta davanti e soprattutto di aprire il nostro cuore «al palpito dell’altro».
Un atteggiamento che implica un’ascesi, un lavoro, ha sottolineato il vescovo: «Mi sono reso conto che quando c’è un’educazione del cuore a guardare la realtà, senza mettere fra parentesi questo livello ultimo e profondo della nostra umanità, è più difficile essere ingannati dalle fake news e dalle possibili falsità che vengono fatte passare come vere». Papa Francesco, nel suo messaggio, sottolinea l’importanza del «parlare amabile, perché la comunicazione non fomenti un livore che esaspera, genera rabbia e porta allo scontro, ma aiuti le persone a riflettere pacatamente, a decifrare, con spirito critico e sempre rispettoso, la realtà in cui vivono». Ricordando l’esempio di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, il vescovo ha citato la sua famosa frase «cor ad cor loquitur» (il cuore parla al cuore) ribadendo che solo chi tiene conto di tutta la propria umanità può comunicare all’umanità dell’altro. «Noi siamo ciò che comunichiamo» è l’insegnamento del santo vescovo di Ginevra. «Per questo – ha concluso il vescovo Giovanni rivolgendosi I direttamente ai giornalisti presenti – non vi chiederò di venire a tutti gli eventi, anzi preferisco che di quello che facciamo insieme rimanga traccia se davvero è successo qualcosa in cui si è scoperta una corrispondenza con i desideri autentici che abbiamo dentro il nostro cuore, per cui vale la pena comunicarlo anche agli altri».
L’esperienza in Perù. Terminato il commento al messaggio del Papa, monsignor Paccosi si è concesso alle curiosità dei giornalisti. Due in particolare i temi che hanno tenuto campo nelle domande rivolte al vescovo: l’esperienza missionaria in Perù e il suo pensiero riguardo al rapporto esistente oggi tra Chiesa e artisti. «Il Perù è un paese estremo, in ogni aspetto – ha confidato monsignor Paccosi -. Montagne alte, la foresta amazzonica impenetrabile, costa del Pacifico simile a un deserto. È una bellezza incredibile, ma anche difficile da vivere. All’inizio, per capire il mondo in cui ero, avevo comprato un po’ di libri. Mi colpì molto, ad esempio, scoprire che su 115 tipi di clima che ci sono nel mondo, in Perù se ne trovano 85. Se geograficamente è un mondo complesso, lo è anche umanamente, anche se con degli aspetti di grande suggestione». Professore a Lima Parlando poi della sua esperienza come professore universitario a Lima ha detto: «Nell’università ho visto cosa significa conoscere un’educazione che guida alla ricerca della verità e alla valorizzazione dell’umanità delle persone; ho visto giovani crescere e diventare protagonisti della propria vita. Ragazzi che studiavano con grandi sacrifici mentre lavoravano, perché un titolo di studio poteva migliorare la loro condizione sociale. E poi, stando all’università, capivano anche che con lo studio era possibile mettere la propria vita al servizio degli altri. Quando parlo di questo porto sempre l’esempio di una ragazza della mia parrocchia di laggiù, che viveva con la mamma e un fratello in una capanna costruita sopra il tetto di una casa. Una ragazza intelligentissima, che fin dalle elementari era sempre stata la migliore della scuola. Che aveva potuto proseguire gli studi grazie alle borse di studio che anche la parrocchia le metteva a disposizione. Oggi vive in Canada ed è un alto dirigente di una grande multinazionale. Ha mantenuto quella semplicità e quella umanità che poi è la ragione per cui l’hanno fatta dirigente».
Sul rapporto tra Chiesa e arte contemporanea sollecitato poi a proporre un suo parere riguardo al difficile dialogo che vige oggi tra Chiesa e artisti, monsignor Paccosi ha riflettuto: «Nel passato l’artista esprimeva un sentire comune, per cui l’opera che realizzava era immediatamente comprensibile a tutti. L’arte contemporanea mi piace moltissimo, ma è un’arte in cui l’artista esprime, il più delle volte, se stesso. […] Perciò non è facile il rapporto tra la Chiesa come committente e l’artista; si ha sempre un po’ il timore che quello che può venir fuori, non sia poi una cosa accessibile a tutti». E a tal proposito ha ricordato l’esperienza del concorso che fu indetto nel 2010 per un nuovo ambone nella cattedrale di Firenze, in cui nessuno dei grandi artisti italiani partecipanti riuscì a soddisfare le attese della committenza. La nostra diocesi e gli artisti Il tema dell’arte ha portato poi il nostro vescovo a soffermare lo sguardo sulle chiese della nostra diocesi, dove troviamo opere di grande valore, eseguite da artisti contemporanei, come ad esempio Anton Luigi Gajoni, che restano poco valorizzate se non addirittura dimenticate: «È certamente un cammino che occorre fare quello della loro riscoperta e valorizzazione – ha detto monsignor Paccosi». Non siamo comunque all’anno zero, «c’è un percorso in essere, sostanziato ad esempio dalla collaborazione col pittore Luca Macchi, presidente della commissione per l’arte sacra. Sono poi rimasto piacevolmente colpito dall’iniziativa dell’Ucai a Roffia, con l’idea delle stazioni della Via Crucis realizzate ciascuna da un artista diverso. Oppure dall’esperienza di Ponte a Elsa, con la variazione sul tema della resurrezione di Lazzaro che ogni anno viene offerta da un artista diverso. In questo senso vedo qui a San Miniato molta vitalità. Penso poi anche alle tante opere di Dilvo Lotti, o dello stesso Gajoni, sparse nelle nostre chiese: sono certamente l’indice di un dialogo fecondo che gli artisti contemporanei hanno avuto con la nostra Chiesa. Questo resta però indubbiamente un ambito su cui occorre ancora impegnarsi e lavorare».