Il cardinal Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, invitato dal nostro vescovo Andrea, è stato il relatore d’eccezione del 50mo Convegno catechistico diocesano che si è tenuto venerdì 9 settembre, nella chiesa della Trasfigurazione a San Miniato Basso.
Al tavolo dei relatori anche don Sunil Thottathussery, responsabile dell’Ufficio catechistico diocesano. Il cardinal Betori, prendendo spunto dal titolo del convegno, ha offerto una riflessione sul catechista come testimone creativo e coraggioso del vangelo. «Chi è oggi il catechista?- ha esordito il presule -.
Il catechista è uno spettatore privilegiato dei grandi cambiamenti che riguardano la Chiesa e il mondo ai nostri giorni», in quello che papa Francesco ha definito «non un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca». Il catechista è in prima linea a fare esperienza di questo cambiamento. Due possibili reazioni sbagliate, ha sottolineato Betori, sono l’attivismo e lo scoraggiamento, spesso l’uno conseguente all’altro. Accogliendo l’insegnamento, più che mai attuale della costituzione I pastorale «Gaudium et spes» del Concilio Vaticano II, il catechista è chiamato piuttosto a discernere i «segni dei tempi», nella fiducia – riposta in Dio – che l’annuncio cristiano non resterà senza frutto. Nel passo successivo della relazione, il cardinale ha sviluppato il tema del catechista come «testimone».
La catechesi ha al cuore il kerygma, che è la Persona stessa di Gesù Cristo, buona notizia, prima ancora che un testo scritto. Il catechista riceve, custodisce e fa proprio il kerygma, al crocevia di tre storie: la storia della salvezza, quella delle persone che è chiamato a servire e la storia personale. La catechesi è quindi incontro di vite, di storie salvate, un circolo vitale. «Cosa significa essere catechisti creativi?», si è chiesto l’arcivescovo, riconoscendo che non ci sono ricette precostituite adattabili ad ogni situazione e ad ogni tempo. «La catechesi è creativa quando è capace di intercettare la storia di ogni uomo – ha detto – e il catechista è colui che è capace di ascoltare la storia concreta delle persone che gli vengono affidate. Per il catechista non esistono i “ragazzi”, gli “adulti” o le “persone” come categoria astratta, bensì i loro nomi e i loro volti concreti…».
«Il catechista è creativo quando si pone alla scuola di Gesù e quando, ponendosi in questo ascolto, si apre a chi ha di fronte». «Ma la catechesi è creativa anche quando è capace di far risuonare la Parola nel cuore e nella mente di ogni uomo. Non a caso katechéo in greco vuol dire proprio “far risuonare”… Per far questo, per attuare questo, il catechista si lascia ispirare “creativamente” dall’infinita fantasia dello Spirito». Il cardinale ha poi parlato del coraggio che deve connotare il catechista come testimone del vangelo, facendo riferimento all’icona biblica del profeta Amos, che rivendica il proprio compito profetico di fronte ad Amasia, sacerdote del santuario di Betel. Anche il catechista, come il profeta, non ha deciso di propria iniziativa di dedicarsi a questa missione, ma è stato chiamato.
Un’altra analogia tra il profeta, che non teme di profetizzare nel santuario del re, e il catechista risiede nella franchezza: «il coraggioso è colui che non si fa intimidire dalle difficoltà. Ma cosa significa questo e da dove nasce il coraggio del catechista?… Nasce innanzitutto dall’umiltà», che come bussola deve guidare l’ispirazione e l’azione coraggiosa di ogni annunciatore del Vangelo.
In conclusione del suo intervento, l’arcivescovo di Firenze ha poi ripreso un’idea seminale di papa Francesco: «La fede va trasmessa in “dialetto”, ossia in quella lingua “madre” che è la lingua del cuore, l’unica capace di incontrare l’uomo».