La vicenda del ritorno a casa dell’opera del pittore cinquecentesco Benedetto Veli, di cui avevamo scritto la settimana scorsa, ha un protagonista: Antonio Guicciardini Salini, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, che in un’intervista esclusiva ci racconta le sue emozioni riguardo al dipinto ritrovato. Nella sua ventennale esperienza in Fondazione sono tanti i momenti da ricordare: dall’incessante sostegno alle realtà sociali di volontariato, ai restauri del patrimonio storico artistico del territorio, fino alla scommessa vinta di trasformare Palazzo Grifoni in una moderna “casa della cultura”.
Presidente, lei si è prodigato in ogni modo per consentire il ritorno a casa della tela di Benedetto Veli. Immagino la sua soddisfazione nell’essere riuscito a ricollocare nel suo contesto d’origine, un pezzo pregiato del patrimonio storico artistico del nostro territorio.
«Si è trattato di una cosa abbastanza casuale: era il novembre dell’anno scorso, mi trovavo a Londra, quando mi arriva una telefonata di don Francesco Ricciarelli. M’informava che il professor Alessandro Nesi gli aveva segnalato un’asta a Stoccolma in Svezia che si sarebbe tenuta a dicembre e in cui sarebbe stata battuta una tela cinquecentesca che il catalogo diceva provenire da San Miniato. Vengo dal mondo dell’antiquariato, ho fatto l’antiquario per una vita e sono abituato alle acquisizioni alle aste; sono dunque andato subito a cercarla su internet e di lì a poco mi sono messo in contatto con la casa d’aste. A quel punto ho deciso, direi quasi motu proprio, senza passare dal cda della Fondazione – se non per sentirlo telefonicamente – che se le cose si fossero messe bene l’avrei acquisita e che, qualora il cda non mi avesse seguito, l’avrei comprata per me. La volevo riportare a casa e devo dire che – come prevedevo – questo genere di opere, nelle aste svedesi, non raggiunge cifre enormi, a differenza di quanto avviene da noi. Alla fine ce l’abbiamo fatta, siamo riusciti ad aggiudicarcela con una spesa limitata. È stato un grosso successo, e per me una grandissima emozione. Quest’opera molto probabilmente fu alienata dal patrimonio della chiesa di Cigoli in un periodo imprecisato e acquistata da qualcuno. L’abbiamo ritrovata in ottime condizioni e perfettamente restaurata. Restituirla al santuario della Madonna dei Bimbi, dove era stata per secoli, per me e per la Fondazione è davvero una grande soddisfazione».
C’era bisogno di agire con rapidità?
«Si, perché l’asta veniva battuta dopo pochi giorni. C’erano diverse procedure a cui provvedere per partecipare. Don Ricciarelli ha tradotto tutti i documenti. L’asta è stata seguita online. Io mi ero dato un limite di prezzo, oltre il quale non volevo andare. Siamo stati, direi, anche fortunati per il fatto che non ci sono stati poi grossi rialzi».
La vicenda dell’opera del Veli ha il fascino del giallo: dalla sua presenza a Cigoli fino al “ritrovamento” a Stoccolma. Sarà interessante indagare le vicende occorse al quadro, anche nell’ottica di riscoprire il lavoro di questo pittore fiorentino che ha lavorato nei nostri territori e che resta poco conosciuto?
«Si, sicuramente. Ci sono sue opere a San Miniato, negli uffici di Curia, e nella chiesa di San Romano. Il nostro ’500 è ricchissimo di autori apparentemente minori, che non portano nomi altisonanti, ma che restano validissimi per la qualità delle loro opere. Veli è uno di questi. Credo, anzi, che all’epoca commissionare un’opera a Benedetto Veli, significasse avere delle grosse disponibilità finanziarie. Era indubbiamente un artista di altissimo valore e la qualità di quest’opera sta lì a dimostrarcelo».
La Fondazione CRSM si connota ancora una volta come importante realtà di promozione culturale per il nostro territorio. Mi piace qui richiamare il proficuo dialogo che esiste da tempo con la nostra diocesi, per il recupero e il restauro del patrimonio storico artistico, fatto che si traduce poi anche in volano economico per i nostri territori…
«Certo. Occorre ribadire un elemento certamente risaputo: noi siamo una fondazione e siamo stati una banca, fondata nel 1830 dal vescovo di San Miniato Torello Pierazzi. Il nostro legame con la diocesi appartiene dunque alla storia. Questo va unito al fatto che le fondazioni – e la nostra in particolare – hanno come funzione principale quella di promuovere il territorio soprattutto da un punto di vista culturale, mantenendo uno sguardo attento al sociale. Il restauro di opere architettoniche come, negli ultimi anni, la scalinata del Ss. Crocifisso o la facciata del Seminario a San Miniato, avviene certamente in una prospettiva di crescita culturale ma anche economica del territorio. In questo modo diamo infatti lavoro a maestranze, artigiani, restauratori, architetti… È tutto un mondo che gira intorno alla cultura e che dà lavoro – fatto non secondario – anche a tutti coloro che operano nel turismo. Per cui una città bella, una città ben tenuta non può che far bene all’economia. Vorrei poi sottolineare un fatto, sempre nella prospettiva della crescita del nostro distretto: negli ultimi anni a San Miniato la Fondazione ha messo a disposizione della comunità il proprio parcheggio privato, che fino al 2014 era sempre stato chiuso. Si tratta di più di cento posti auto nel centro storico. Tutte le attività turistiche, soprattutto i molti ristoranti, ne traggono un beneficio enorme e questo mi è stato testimoniato anche da importanti ristoratori in città. Per questo dobbiamo ringraziare Crédit Agricole, cui abbiamo affittato il parcheggio, che ha seguito questa nostra linea».
Ci può anticipare qualcosa riguardo alle prossime iniziative di promozione culturale e sociale della Fondazione?
«Siamo in un momento di passaggio e abbiamo dovuto rallentare le attività culturali, questo perché la Fondazione è in una fase di avvicendamento. A settembre verranno rinnovate tutte le cariche, il consiglio d’indirizzo, il comitato di gestione e il presidente stesso».
Nel suo percorso quasi ventennale in Fondazione quali sono le iniziative che ricorda con maggior soddisfazione?
«Sono tanti i ricordi belli, ma il primo che mi viene in mente è un ricordo dolorosissimo: la perdita della nostra banca, la Cassa di Risparmio di San Miniato. È stato un trauma veramente forte e da parte mia inaspettato. Diciamo che il mio ritorno come presidente della Fondazione, nel 2019, è stato dettato anche da un senso di responsabilità. Dopo la perdita della CARISMI molti temevano che anche la Fondazione sparisse. Invece la Fondazione ha continuato a vivere: c’è ed è autonoma, con il suo capitale, i suoi organi, il suo Palazzo Grifoni, interamente di proprietà e il suo auditorium di piazza Buonaparte. Sul territorio svolgiamo un’attività importantissima, incidendo sui settori più disparati, dando aiuto ai comuni e alle associazioni di volontariato sociale e culturale. Ci sono realtà che con solo duemila euro vivono: pro-loco, centri di ascolto, associazioni di madri che hanno figli autistici – solo per rammentarne alcune. Noi cerchiamo davvero di dare una mano a tutti. Il nostro territorio di competenza è vasto: va da Empoli a Pontedera e Ponsacco per un totale di dieci comuni. Nel solo periodo del covid abbiamo speso più di un milione di euro per venire incontro alle necessità delle comunità, acquistando per esempio, insieme a Crédit Agricole, i primi ventilatori polmonari per l’ospedale di Empoli. Oppure nel 2022 abbiamo comprato, e aiutato ad acquistare, mezzi di trasporto e ambulanze per le Misericordie e la Pubblica Assistenza del territorio… Insomma non mi è semplice trovare un’opera emblema a cui sentirmi più legato, ma posso dire che le attività fatte all’interno della Fondazione dopo il covid e dopo esserci inventati, con Palazzo Grifoni, la “casa della cultura”, questo “palazzo di cristallo” dove tutti possono venire – prima non era possibile –, questo mi rende davvero orgoglioso. Come sono d’altronde orgoglioso di aver portato in Fondazione tanti personaggi famosi con cui mi sono speso in prima persona, da Sgarbi a Cacciari, a Crepet… Si, questa è una riuscita che mi attribuisco e di cui vado particolarmente fiero».