Il vescovo Giovanni ha offerto una lunga testimonianza al convegno svoltosi a Palaia su don Divo Barsotti e don Lorenzo Milani, «due infaticabili cercatori di Dio». Un racconto schietto e appassionato il suo, condito di ricordi personali e aneddoti, anche per l’amicizia che lo legava a don Barsotti e per il fatto di essere stato, in diocesi di Firenze, coordinatore per le celebrazioni per don Milani. Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dal suo intervento.
L’AMICIZIA CON DON DIVO
ll mio rapporto con don Divo è nato quando sono entrato in seminario. Proprio al primo anno di seminario avevo un corso tenuto da lui sulla spiritualità liturgica, che credo fosse uno degli argomenti che amava di più in assoluto. Anche per questo di quel corso ricordo quasi tutte le lezioni che lui ci tenne. E dato che la liturgia è la fonte e il culmine della vita cristiana, le lezioni di don Divo finivano per trattare di tutto: ci parlava di arte, di musica, ci parlava delle culture delle altre religioni, e ci faceva entrare così profondamente nel mistero della liturgia – nel senso proprio dell’incarnazione di Cristo – che per me quegli insegnamenti sono rimasti un punto di riferimento imprescindibile. Ma oltre all’aspetto accademico dell’insegnamento, quel corso fu anche l’occasione per l’inizio di un’amicizia, perché don Divo viveva a Settignano e bisognava andarlo a prendere per farlo venire a Firenze a fare lezione, e al termine riportarlo. E io e altri due o tre seminaristi eravamo talmente affascinati da don Divo, che ci offrivamo sempre volontari per andarlo a prendere e riportarlo. Per cui, dicevo, nacque una vera amicizia in cui io mi sono sentito davvero voluto bene da don Divo e in cui ho imparato tanto da lui e dal suo sguardo così centrato su Cristo, capace di valorizzare le cose anche apparentemente più lontane.
OCCHI NUOVI PER L’ARTE
Voi sapete che a me piace molto l’arte e rammento – come ho detto anche in altre occasioni – che una volta don Barsotti, parlando dell’arte occidentale, ci disse con una delle sue frasi per certi aspetti così estreme, che dopo Michelangelo e Caravaggio per rivedere un pittore religioso bisognava arrivare a Paul Cézanne e a Giorgio Morandi. Capite come questo pensiero fosse capace di rompere tutti gli schemi, perché ovviamente Cézanne e Morandi non dipingevano temi religiosi, ma è vero che la loro arte risulta profondamente religiosa, perché il soggetto che loro rappresentano non è quello che si vede, ma è quello che non si vede, quello a cui ciò che si vede rimanda, che è in sostanza la religiosità, ossia la coscienza che tutto è in rapporto con l’infinto, con Dio. Questi erano per me veri e propri lampi di luce, che successivamente sono diventati punti di ricerca per comprendere in profondità perché don Barsotti si esprimeva così.
LIBRI DI DON DIVO CHE MI HANNO FORMATO
Poi per me sono stati importanti certi suoi libri che ho letto sempre all’epoca del Seminario e poi anche dopo. In particolare me ne sono segnati qui alcuni. Quando ci faceva il corso sulla liturgia, c’era un suo libro pubblicato almeno trent’anni prima: «Il mistero cristiano della liturgia», che fu per me e per tanti altri con me, veramente una fonte importante di comprensione. Oppure quando ci tenne il corso sui sacramenti, importante fu il testo «La vita in Cristo. I sacramenti dell’iniziazione». Senza dimenticare «La responsabilità dei preti», contenente gli esercizi spirituali che Barsotti aveva tenuto a papa Paolo VI e alla curia romana sul sacerdozio. Ma cito anche altri scritti, come per esempio «La legge è l’amore» e due testi che, nella passione di don Divo verso tutto ciò che è umano – in particolare verso l’arte e la letteratura – diventarono per me punti di riferimento; mi riferisco al volume su Leopardi («La religione di Giacomo Leopardi»), e allo scritto su Dostoevskij («Dostoevskij, la passione per Cristo»). Su questi lo invitai più volte a parlare ai ragazzi dell’ultimo anno delle scuole superiori – seguivo all’epoca infatti dei gruppi di studenti –, a parlare proprio di Leopardi e Dostoevskij. E mi colpiva sempre quando lui diceva questo non l’ho mai sentito dire da nessun altro se non da lui – che tutti i grandi romanzi di Dostoevskij sono commenti a pagine del vangelo: «I demoni» alla pagina dell’indemoniato di Gerasa, con i porci che si buttano nel mare.
Ne «I demoni» Dostoevskij descrive tutte le forme del rifiuto di Dio che portano all’autodistruzione. Oppure «Delitto e castigo», che può essere letto come un commento alla resurrezione di Lazzaro. Chiavi di lettura straordinarie, per me diventate importantissime.
L’AMORE PER LEOPARDI, COME IN DON GIUSSANI
Io vivo ancora oggi l’esperienza di Comunione di liberazione e c’è un aneddoto che vi voglio raccontare: don Luigi Giussani, il fondatore di Cl, come don Divo Barsotti era appassionatissimo di Leopardi. Addirittura don Giussani diceva che quando aveva 14 anni, ed era in seminario, era quasi più appassionato di Leopardi che di tutto ciò che in seminario gli veniva insegnato, perché trovava in Leopardi quella purezza di una ricerca dell’umano, come ricerca dell’infinito che non trovava da nessun’altra parte. E poi confessava ancora che per tutta la vita, come preghiera di ringraziamento dopo la Comunione, aveva sempre recitato dentro di sé dei versi di Leopardi. Una volta invitammo don Barsotti a recarsi a Milano per tenere un incontro con gli studenti dell’ultimo anno delle superiori proprio su Leopardi.
Una volta a Milano don Divo espresse il desiderio di andare a salutare don Giussani, si conoscevano infatti da tempo. Arrivati alla sede di Cl don Giussani quel giorno non c’era, ma entrando nel suo ufficio don Divo vide sulla scrivania di don Giussani il suo libro «La religione di Giacomo Leopardi», e di questa cosa rimase contentissimo. La loro interpretazione di Leopardi era uguale, anche se era arrivata da percorsi e strade diverse, e scaturiva dalla profonda conoscenza della sete umana dell’infinito che in Leopardi si esprime in un modo che non trova paragoni.
UN ANEDDOTO PERSONALE
C’è anche un episodio che mi lega a don Divo, che ho raccontato solo dopo essere stato fatto vescovo: un giorno ero andato da lui con don Filippo Santoro, da poco nominato vescovo ausiliare di Rio de Janeiro. Don Filippo nella sua gioventù era stato molto legato a don Barsotti, poi aveva incontrato Comunione e liberazione e aveva continuato il suo cammino nel Movimento. Era preside della Facoltà teologica di Bari e aderì a una richiesta arrivata dall’arcivescovo di Rio de Janeiro, che chiedeva un teologo che potesse prendere la cattedra che era stata di Leonardo Boff; una cattedra controversa, per la quale occorreva una persona che fosse capace di capire quello che era stato detto prima, rimanendo fedele al magistero della Chiesa. Don Filippo Santoro aderì a questa richiesta, e dopo qualche anno l’arcivescovo di Rio de Janeiro chiese che fosse nominato vescovo ausiliare. Don Filippo allora, prima di ricevere l’ordinazione episcopale, era ritornato in Italia e voleva andare a salutare don Divo. Lo accompagnai io a Settignano. Quando don Divo ci aprì la porta, disse a don Filippo: «Tu sei un successore degli apostoli…», poi guardò me e mi fece: «Te ancora no, hai da aspettare qualche anno…». Lì per lì questa frase mi lasciò un po’ impaurito, perché tutto pensavo meno che sarei stato fatto vescovo. La frase rimase lì, e io la misi tra le «frasi sbagliate» di don Divo. Alla fine però si è rivelata vera, profetica.
DON MILANI COME RIFERIMENTO EDUCATIVO
Dal punto di vista personale invece il mio rapporto con don Lorenzo Milani è un rapporto che è diventato significativo soprattutto negli ultimi tempi. Un paio di anni fa mi scrisse un messaggio un giornalista e scrittore fiorentino, Marco Ferri, che scrive molto sulle tradizioni di Firenze. Con Ferri avevamo fatto il liceo insieme. Nel suo messaggio mi chiedeva se ricordavo quando avevamo appeso sulle scale del liceo un cartellone gigante dove stava scritta la frase di don Milani «I care». Era il 1975, io avevo 15 e al liceo facemmo una mostra sul disarmo e sulla pace, che aveva come titolo proprio questa frase di don Milani famosissima, che avevamo appeso proprio sulla scala principale del liceo dove tutti coloro che entravano la potessero notare. Don Milani quindi l’ho avuto sempre presente, fin da giovane. Quando ero in seminario il libro «Esperienze pastorali» non era certo un testo che ci veniva consigliato di leggere, ma il suo aspetto educativo è stato sempre per me importantissimo, avendo anche io insegnato praticamente sempre, dal 1985 fino a due anni fa. Qui in Italia ho sempre fatto il professore di religione e in Perù il professore universitario, per cui sono sempre stato dentro al mondo dell’educazione e il riferimento a don Milani per me è stato sempre centrale, in particolare in Perù. Lì, nella diocesi di Carabayllo, dove ero sacerdote fidei donum, il vescovo Lino Panizza, originario di Genova, aveva intuito che in quella realtà – la periferia nord di Lima dove l’età media della popolazione è di 25 anni – i giovani non potevano frequentare le università private e avevano pochissima probabilità di entrare in quella pubblica di San Marcos, una università di grande valore, nata nel 1551, che però ogni anno ammetteva solo 4 mila giovani a fronte delle oltre 50 mila candidature agli esami di ingresso. Chi resta fuori non ha poi i mezzi per frequentare un’università privata, e deve interrompere gli studi o si deve affidare ad atenei che sono dei veri e propri diplomifici, dove i titoli che vengono rilasciati non vengono presi in considerazione nel mondo del lavoro e dalla società. L’intuizione di monsignor Panizza fu quindi quella di creare un’università che fosse di buon livello, ma con dei costi sostenibili per i ragazzi e le famiglie. Per cui nel nostro ateneo c’erano tanti ragazzi che venivano da un’educazione di base di scarsissimo livello. Nelle scuole statali di molte zone del Perù ci si imbatte in scuole statali davvero di basso livello scolastico, dove i docenti con quello che guadagnano riescono a malapena a sopravvivere e quindi chi insegna nelle scuole secondarie spesso è fortemente demotivato. In virtù anche di questo, noi vedevamo arrivare alla nostra università ragazzi che quasi avevano da imparare a leggere e scrivere, che in tutta la loro vita avevano letto uno o, addirittura, nessun libro. La nostra sfida era quella di non lasciare indietro nessuno, quindi di aiutare tutti questi ragazzi a crescere ed evolversi. Noi avevamo intuito questo, e i fatti mi pare ci abbiano poi dato ragione ma, perché la scommessa fosse vincente, la questione non doveva vertere tanto sul livello accademico che potevamo offrire, quanto sul dare a questi giovani le ragioni per cui vale la pena studiare. Esattamente quella che fu una delle intuizioni fondamentali di don Milani, ossia che per essere più umani ed essere maggiormente noi stessi, per poter vivere e capire ciò che abbiamo attorno, è importante studiare.
LA VISITA DEL PAPA A BARBIANA
Poi, negli ultimi anni, quando a Firenze il cardinale Betori mi ha chiesto di fare il coordinatore del comitato diocesano per don Lorenzo Milani, mi sono andato a rivedere tutti i suoi testi e in particolare mi ha impressionato rileggere «Esperienze pastorali» e tutte le sue lettere. E mi ha molto colpito come, nel 2017, papa Francesco abbia dato una chiave di lettura che mi sembra molto vera riguardo a don Milani, in cui tutto ciò che lui è stato come educatore, come promotore di un impegno civile così profondo e anche così avversato, si capisce nella sua dimensione di prete. Io vorrei rileggere quello che disse il Papa alla fine del suo discorso a Barbiana nel 2017: «Prima di concludere, non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al vescovo scrisse: “Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…”. Dal cardinale Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi gli arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco -, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa. Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: “Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità”».
LEGAMI TRA DON MILANI E DON BARSOTTI
In questo suo essere prete vedo il suo legame più profondo con don Divo, nel suo voler dare la vita perché Cristo sia conosciuto e perché l’amore di Cristo sia riconosciuto. In questo don Milani è così vicino a don Divo. C’è una lettera famosa e molto controversa del settembre 1958 che don Lorenzo scrisse a don Enrico Bartoletti, quando quest’ultimo venne fatto vescovo di Lucca, dove gliene dice di tutti i colori; poi a un certo punto gli scrive anche che in quanto vescovo, Bartoletti si sarebbe dovuto premurare di non opprimere i poveri preti che volevano cercare di nutrire il Vangelo, aggiungendo: «Quando dicevo oppressi non pensavo a me, né a Borghi, né a don Divo, noi stiamo bene così e temiamo la protezione dei forti come un segno dell’abbandono di Dio». Un passaggio significativo, che testimonia quanto don Lorenzo sentisse vicino a sé don Barsotti. Una vicinanza confermata anche dal carteggio tra lui e Barsotti, e che è dello stesso periodo (agosto ottobre 1958), quando don Lorenzo aveva scritto in agosto a don Barsotti per chiedergli un parere sul suo libro «Esperienze pastorali», da cui era scaturito un dialogo secondo me strepitoso, che fa vedere due uomini innamorati di Dio.