«Che cosa unisce la moda e la musica? Certamente la creatività». Domanda e risposta, queste, che sono risuonate in incipit di serata, venerdì 2 dicembre, all’auditorium di piazza Buonaparte a San Miniato, dove si sono dati appuntamento, per confrontarsi, due amici, a loro modo entrambi artisti: Beppe Dati, fine cesellatore di parole per cantanti di successo, e Marco Bartoletti imprenditore fuori schema, guidato dalla stella polare dell’etica. A condurre la serata, con garbo e gusto, Giuliano Maffei presidente di Stella Maris. Un appuntamento promosso dal vescovo Andrea, che lo ha inteso come momento di riflessione e preparazione all’apertura del Giubileo della nostra diocesi avvenuta due giorni dopo, domenica 4 dicembre. «Il mondo del lavoro è presenza significativa nel territorio della nostra diocesi di San Miniato» ha detto monsignor Migliavacca, che ha sottolineato come, nelle sue varie espressioni, la concretezza produttiva qui da noi significa tante cose: imprenditorialità, strategie di sviluppo, possibilità di riscatto offerta a tanti migranti e più in generale occasione di passaggio da una condizione di povertà alla possibilità di condurre una vita dignitosa. «E stasera – ha proseguito monsignor Migliavacca – in questa esplorazione nel mondo del lavoro ci regala la sua testimonianza Marco Bartoletti, che è portatore di una storia straordinaria, fatta di impegno e concretezza, e di uno sguardo che si proietta oltre l’orizzonte». «Questa serata – ha concluso il vescovo – pertiene idealmente all’avvio del cammino di festa della nostra diocesi, per i suoi 400 anni di storia; un momento che non è anzitutto sguardo al passato ma proiezione al futuro. Celebrare 400 anni vuol dire infatti sentirci Chiesa viva, Chiesa giovane, Chiesa ricca di dono da condividere».
Marco Bartoletti ha raccontato lui stesso, con flemma appassionata, la sua vicenda, quasi una confessione a cuore aperto: gli inizi come ordinario assicuratore e poi, poco più di venti anni fa, un’insoddisfazione professionale profonda che lo avvinghia e lo spinge a mollare la sicurezza del mondo assicurativo per tentare, da pioniere visionario e ispirato, il lavoro nella meccanica di precisione, con una peculiarità: «dare lavoro a persone socialmente ritenute svantaggiate: disabili, persone autistiche, malati di tumore. All’inizio la sua officina trova ricetto in una chiesa sconsacrata, con il vecchio altare che diventa un piccolo ripostiglio. Una dimensione del sacro che aleggia e si riconnette al desiderio profondo di Bartoletti di promuovere in ogni sua attività l’uomo: le difficoltà di salute o le menomazioni nel fisico non rappresentano, a suo modo di vedere, un problema per lavorare e le persone colpite da queste evenienze non devono ridursi a mendicare e vivere di assistenza. Per l’alta qualità dei prodotti realizzati, e il design innovativo, subito arrivano le prime importanti commesse da grandi brand della moda, tra cui Gucci. L’azienda di Bartoletti a Calenzano cresce e ancora oggi continua ad assumere, nonostante tutte le possibili e immaginabili crisi… sembra quasi una favola incantata: circa 230 persone lavorano con lui; i colloqui di lavoro per entrare assomigliano molto a quelli che teneva personalmente Adriano Olivetti negli anni ‘50 nella sua azienda-famiglia a Ivrea. Certo, all’inizio non è stato semplice… Bartoletti ricorda ancora gli sguardi di sufficienza di molti – clienti, fornitori, amici – che pur apprezzando la qualità delle fibbie, dei bottoni e delle chiusure, nondimeno lo prendevano per un visionario e la «BB spa» (la sua azienda) per una onlus. Ma il tempo è galantuomo e, un piolo dopo l’altro, il brand ha scalato vette inimmaginabili guadagnando grandissima considerazione in tutto il mondo dell’alta moda proprio per l’indiscutibile qualità e bellezza dei suoi prodotti e l’affidabilità della produzione. Marco negli ultimi tempi, da geniale innovatore anche delle dinamiche sociali, si è addirittura inventato “l’andare al lavoro in ambulanza”. «Noi imprenditori – ha raccontato – abbiamo una grande possibilità che diventa una responsabilità: far sì che le persone non perdano la dignità. Ho sempre pensato che per fabbricare bene un prodotto non occorra essere in salute». Ed ecco allora che un comparto tra le sue realtà produttive si è aperto da qualche tempo anche agli ammalati perennemente allettati, che la mattina arrivano sul luogo di lavoro in ambulanza e svolgono le loro mansioni da un giaciglio. Un’iniziativa da far conoscere che si spera diventi modello anche altrove.
Il racconto di Bartoletti è stato arricchito dalle testimonianze di due sue collaboratrici portatrici di handicap: Orietta e Valentina. Beppe Dati – cantautore geniale, funambolo della parola che usa per dare voce, quasi fosse uno speleologo, a ciò che abita le profondità dell’uomo – si definisce, gigioneggiando, «diversamente credente», e su questo Maffei lo pungola affettuosamente: «Nel profondo Beppe, tu hai trovato l’essenziale, hai trovato tutto, anche quel mistero a cui non sai dare un nome». La serata è stata – proprio grazie a Dati – anche uno struggente revival di alcuni dei più grandi successi della musica italiana degli ultimi 35 anni: «Cosa resterà degli anni ‘80» di Raf, «L’uomo volante» che Marco Masini ha portato a vittoria a San Remo nel 2004; poi la toccante rievocazione di Mia Martini, «la nostra Edith Piaf» cesella Dati, con la canzone che scrisse per lei: «Gli uomini non cambiano». Per arrivare al finale in epica crescente di «Cirano», meraviglioso ingranaggio poetico con parole assemblate da una rara ispirazione. Un pezzo talmente bello che Francesco Guccini, che l’ha interpretata nel disco «D’amore di morte e di altre sciocchezze» del 1996, ha candidamente confessato: «Avrei voluta scriverla io».
Dati aveva portato con sé una pattuglia di quotati musicisti e interpreti: le voci di Marilena Catapano e Gianfilippo Boni, gli strumenti di Marco Fontana e Simone Gaggioli, e poi Federico Sagona e Giancarlo Brenda, che hanno dato vita anche ad altri brani del vasto repertorio del maestro.
«La visione geniale ed ispirata che collega e muove moda e musica, è quello stesso lievito che unisce l’uomo al cielo», hanno voluto idealmente dirci Marco e Beppe con l’evento di San Miniato, aprendoci per una sera la loro personale bottega di artigiani del bello.
In finale Giuliano Maffei ha colto l’occasione per salutare pubblicamente il vescovo Andrea – in procinto di trasferirsi a Arezzo – citando quanto gli scrisse un amico di Pavia proprio riguardo a monsignor Migliavacca: «A Binasco ce lo dividevamo in cento; quando entrò in seminario a Pavia ce lo dividemmo in mille; quando è diventato sacerdote in diecimila; infine quando è diventato vescovo in centomila… Un pezzettino per ciascuno di noi sembrava essere ogni volta sempre più piccolo, ma quando gli parli riesce sempre a farti sentire esclusivo».