È una celebrazione della S. Messa in Coena Domini quest’anno che parla di assenza.
Ci manca anzitutto la presenza nella sua libertà e possibilità del popolo di Dio… ed è una assenza che si sente, quasi assordante, che pesa sul cuore e rende un po’ tristi anche tutti coloro che avrebbero partecipato a questa liturgia.
Ci è mancata questa mattina la Messa Crismale. Come tradizione da noi il duomo si sarebbe riempito anzitutto con i sacerdoti della diocesi e poi con i ragazzi cresimandi di quest’anno. Una celebrazione solenne, sarebbe stata, con l’intensità dei sì dei preti che rinnovano le loro promesse, col profumo degli oli e del crisma benedetti, con la gioia dei ragazzi, rapiti dalla solennità della liturgia. In particolare vorrei da qui salutare tutti i sacerdoti della nostra diocesi e dir loro che li ho ricordati oggi nella preghiera, li presento ora al Signore e al suo cuore, chiedo per loro e per le loro comunità la benedizione di Dio.
Ci è mancheranno alcuni segni di questa liturgia: la lavanda dei piedi come gesto vissuto, la solenne reposizione del Santissimo all’altare della reposizione, la tradizionale cura con tanti fiori e devozione del luogo in cui verrà riposta l’eucaristia. E mancherà stasera anche la tradizionale visita delle sette chiese.
La liturgia che oggi celebra l’ultima cena, l’istituzione dell’eucaristia, la nascita del sacerdozio ministeriale, il dono della vita di Gesù prepara la celebrazione della sua assenza, nel giorno della morte il venerdì santo e al silenzio del sabato santo.
Credo che tanti di noi staranno pensando anche ad altre “assenze”, non solo dalla liturgia, ma dai loro cari: sono coloro che sono morti soprattutto per il coronavirus, i tanti malati, chi è negli ospedali, chi fa turni massacranti per assistere i malati…
Tante assenze che questa sera in qualche mondo abitano la nostra liturgia.
Eppure ci siamo. Ci siete voi che da casa seguite la celebrazione. C’è la Chiesa della comunione dei santi che partecipa alla nostra liturgia, c’è proprio nell’eucaristia la presenza di tutto il popolo di Dio. È una liturgia questa sera che ancora di più ci raggiunge nelle nostre case e ci porta il profumo della presenza del Signore, dell’amore custodito e narrato dal dono della sua vita, la sua forza salvifica e di speranza.
A casa nostra!
E appunto di case ci parla la Scrittura, raccontandoci il farsi visita di Dio, proprio a casa.
È quanto accade nel racconto dell’Esodo, la notte della liberazione del popolo ebraico dalla terra e dalla schiavitù d’Egitto.
Il Signore invita gli ebrei a compiere una liturgia proprio a casa loro. Cosa dovranno mangiare, come dovranno farlo (con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano), come preparare, il sangue da porre come segno sugli stipiti di casa… E grazie al cuore preparato da questi riti quando passerà il Signore da casa loro, sarà per tutti loro dono di salvezza. Il Signore verrà, come ha promesso, verrà come il liberatore, come colui che condurrà il suo popolo alla libertà. E passerà proprio da casa loro.
Ci viene dunque raccontato che il Signore passerà anche da casa nostra, dove siamo radunati in questo tempo di quaresima e di quarantena, ci viene chiesto di vivere la nostra liturgia domestica, cioè di aprire il cuore al passare di Dio e venendo Lui salva. Ci è promesso che Dio, in questa Pasqua, passerà lui da casa nostra… e sarà salvezza e libertà, amore che cambia i cuori.
San Paolo nella seconda lettura e Giovanni nel vangelo ci raccontano l’ultima cena. Ancora, una celebrazione vissuta in casa (non al tempio o in sinagoga), in una sala, la stanza superiore, il cenacolo. In quella stanza viene celebrato il dono di Gesù sulla croce nel segno di un pane spezzato e del sangue versato e nel segno di una lavanda dei piedi. E di tutto questo verrà detto “fate questo in memoria di me” e “vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.
In quella casa viene celebrato un amore che dona la vita e promette di rimanere per sempre nel sacramento dell’Eucaristia che anche ora stiamo celebrando e in ogni segno e gesto di amore tra di noi, come quello di concretizza nell’oggi l’umiltà del lavare i piedi.
E questo a casa, in quella sala superiore.
Dunque anche a casa vostra, a casa nostra…
Per voi, a casa vostra, viene offerta la celebrazione di questa Eucaristia, voi potrete unirvi con la comunione spirituale, nel tempo liturgico di pasqua anche con la comunione al Corpo di Gesù e Gesù donatosi nell’Eucaristia sarà già da oggi presenza in casa, presenza da accogliere ed adorare, presenza da vivere con una vita eucaristica, che vive il dono reciproco e la carità, presenza da riscoprire nella preghiera, anche vissuta come famiglia.
E a casa potremo vivere le tante occasioni del lavarci i piedi: la pazienza e l’ascolto reciproco, la capacità di perdonarsi, il mettersi a servizio per le questioni domestiche, dal preparare i pasti, alle pulizie, al fare la spesa; l’attenzione a casa per i più anziani e la fantasia per accompagnare bene nel tempo i bimbi…, non dimenticandosi dei più poveri, di chi potremmo aiutare perché nel bisogno, magari partendo da quelli vicini di casa. E ricordandoci che l’altro, chi ci è vicino, chi si incrocia magari per strada ciascuno con la mascherina (quando si esce per vere necessità), e i poveri, pur dovendo vivere le attenzioni di distanza che ci vengono raccomandate, non sono un potenziale pericolo, ma fratelli e sorelle da amare. Così, a partire da casa nostra.
Ah, dimenticavo… c’è anche il grembiule… quello che Gesù si è cinto ai fianchi per lavare i piedi e asciugarli. Dovrebbe essere nella liturgia l’arredo più prezioso, don Tonino Bello invitava a metterlo negli armadi di sacrestia insieme a dalmatiche e a vesti preziose…
E andrà trovato anche a casa nostra.
È il segno del servire, dell’amore reciproco che è necessario perché la liturgia sia vera celebrazione del mistero di Cristo ed è un indumento che a casa devono imparare ad usare tutti… per ricordarci del servire prima dell’essere serviti, perché così Gesù ha fatto con noi. E per scoprire che chi mi è accanto, a casa ora e nella vita di sempre ci è dato come segno di una fraternità donata e di un amore, quello di Dio, che ci ha amato per primo.