Larciano

In ricordo del diacono Andrea Bulgarella

«Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.» (2Tm 4,7)

Il 20 luglio si è spento serenamente il diacono Andrea Bulgarella, lasciando un vuoto profondo nelle comunità che ha servito con discrezione, amore e dedizione per decenni. La sua figura, sobria e gentile, ha accompagnato tante persone nei momenti più fragili e significativi della vita, portando sempre con sé il sorriso, la fede e l’umiltà che lo hanno contraddistinto.

Le radici di una vita piena

Andrea nacque a Firenze il 14 novembre 1938, in una famiglia dalle profonde radici culturali e spirituali. Il padre, anch’egli di nome Andrea, originario di Erice (Trapani), era un finanziere. La madre, Erina Filippini, fiorentina di nascita e di origini nobiliari suo padre era un marchese – lo educò con valori profondi e una forte sensibilità. Andrea portava con sé il titolo nobiliare di Conte. Ha un fratello, Eugenio, che si è trasferito in America, dove vive con la sua famiglia. Dopo gli studi in ragioneria a Firenze, Andrea entrò giovanissimo nel mondo del lavoro. Nel 1962 venne assunto alla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Nel corso della sua carriera, ricoprì ruoli diversi a contatto con il pubblico, per poi essere trasferito all’ufficio portafoglio nella sede centrale di Pistoia. Ha lavorato anche nelle filiali di Larciano, Lamporecchio e Monsummano Terme. Un percorso professionale che lo ha arricchito di umanità e spirito di servizio, elementi che più tardi avrebbe portato nel suo ministero diaconale.

L’amore e la famiglia

La sua vita cambiò profondamente nel 1966, quando conobbe Paola Monti in piazza San Rocco. Lei gestiva un negozio vicino alla banca dove Andrea lavorava. L’alluvione di Firenze li separò temporaneamente, ma il loro legame si rafforzò. Si fidanzarono e due anni dopo, il 15 aprile 1968, si sposarono nella chiesa di San Baronto, alla presenza di don Gastone Lastrucci. Il 22 aprile 1970 nacque il loro unico figlio, Giannandrea, a cui Andrea dedicò tutto l’amore e l’attenzione di un padre presente e affettuoso.

La chiamata silenziosa di Dio

Andrea visse la parrocchia di San Rocco fin dagli anni del ministero di don Vincenzo Lemmetti (1952-1994), contribuendo con discrezione al consiglio economico. Con l’arrivo di don Renzo Nencioni (1995–2004), si impegnò nella Caritas, soprattutto al centro d’ascolto, affiancato da Donata Galli e dalle suore di santa Caterina da Siena. Fu nel 1997/98 che, insieme alla moglie, notò un manifesto della scuola teologica diocesana. Spinti dalla curiosità e da una fede che cercava radici più profonde, iniziarono a frequentare come uditori. Andrea era animato da domande sincere: «Perché vado a Messa? Cosa significa essere cristiano per me?» Già in pensione e afflitto da colite ulcerosa, trovò nel cammino di formazione un inatteso sollievo fisico e spirituale. Con l’incoraggiamento di don Carlo Ciattini, Andrea e Paola si iscrissero ufficialmente alla scuola teologica, affrontando gli studi con impegno. Il percorso fu per lui un tempo di grazia e di rinascita. Il primo maggio 2005, Andrea fu ordinato diacono permanente dal vescovo Fausto Tardelli nella cattedrale di San Miniato, con l’incarico di servire le parrocchie di San Rocco, San Donnino a Castelmartini e San Niccolò a Cecina – Larciano.

Un diacono dal cuore mite

Di carattere timido, educato e profondamente rispettoso, il diacono Andrea si fece subito benvolere per il suo stile sobrio e il suo humor sottile, “inglese”. Si mise al servizio dei malati, della liturgia, della catechesi, della carità, sempre con umiltà, competenza e un forte senso di responsabilità. Soffriva quando percepiva divisioni nelle comunità e si adoperava per l’unità e l’ascolto reciproco. Per anni collaborò alla pastorale della salute a livello diocesano con il diacono Guido Belcari, contribuendo all’organizzazione della Giornata del Malato. Il suo servizio si svolse in particolare accanto a don Sunil Thottathussery, con il quale collaborò dal 2005 fino al 2023. Dopo il periodo della pandemia da Covid-19, le sue condizioni di salute peggiorarono progressivamente, fino ad arrestare del tutto il suo ministero con il trasferimento di don Sunil a Santa Maria a Monte. «Il diacono è chiamato a essere l’icona viva di Cristo servo nella Chiesa. Egli è segno visibile del Cristo che non è venuto per essere servito ma per servire» (San Giovanni Paolo II, Udienza generale del 22 febbraio 1993)

Un’eredità che resta

La vita del diacono Andrea è stata una testimonianza silenziosa ma potente di cosa significa servire Dio e i fratelli con cuore indiviso. Ha saputo coniugare la responsabilità familiare, l’impegno lavorativo e la dedizione al Vangelo con coerenza e mitezza. La sua memoria rimane viva nel cuore della sua famiglia, della moglie Paola, del figlio Giannandrea, e delle comunità che ha accompagnato con affetto.