La commemorazione dell’81° anniversario della strage nel duomo di San Miniato, in cui persero la vita 55 persone il 22 luglio 1944, è stata preceduta quest’anno da increspature e malumori, a motivo del servizio televisivo che la trasmissione Rai «A sua immagine» aveva mandato in onda sabato 5 luglio su Rai 1, nella rubrica «Le ragioni della Speranza», dove era stata presentata una narrazione parziale della strage, che non menzionava il cannoneggiamento americano che la causò. Ne abbiamo parlato nel numero del nostro settimanale del 13 luglio scorso. La trasmissione Rai ha poi lodevolmente provveduto a rimettere le cose posto nella puntata del 20 luglio, precisando e completando in modo chiaro e corretto la narrazione sui fatti del Duomo. Il conduttore Paolo Balduzzi ha aggiunto: «Perché vi diciamo questo? Perché fare memoria degli avvenimenti storici, anche in modo completo, aiuta il presente. Ci teniamo a ribadire anche con le parole di papa Leone, che la guerra non risolve i problemi e, anzi, li amplifica – lo stiamo vedendo in questi giorni – e produce delle ferite profonde nella storia dei popoli e che poi impiegano generazioni per poterle rimarginare».
Le parole di Leone XIV richiamate dal conduttore Rai si allacciano bene a quelle pronunciate dal vescovo Giovanni in cattedrale a San Miniato all’inizio della Messa di suffragio per le vittime della strage, celebrata martedì scorso: L «Offriamo questa Eucaristia in suffragio delle 55 vittime di quella mattina del 22 luglio 1944 quando, proprio qui in cattedrale scoppiò una bomba che dette la morte e ferì tantissime persone, e che aprì una ferita che non si può rimarginare nella memoria del popolo di San Miniato. Preghiamo per loro, preghiamo per la pace fra noi, nella nostra città, nella nostra diocesi ma anche per la pace nel mondo, perché cessino le guerre». Monsignor Paccosi aveva precedentemente ricordato che la commemorazione della strage cade, secondo il calendario liturgico romano, nella festa di santa Maria Maddalena, «l’apostola degli apostoli» come la chiamavano gli antichi. Colei che corse al sepolcro per ungere un morto e che trovò invece il Signore della vita risorto. Un dato emblematico su cui ogni anno siamo invitati a riflettere proprio nel giorno in cui si commemorano le vittime della strage. Un pensiero che anche il vescovo ha poi ripreso nella sua omelia: «“Donna, perché piangi?”, dice Gesù a Maria Maddalena. Anche un’altra volta nel Vangelo, incontrando la vedova di Nain – quella povera vedova che portava il figlio adolescente al cimitero –, Gesù si era rivolto a lei dicendo: “Donna, non piangere”.
Sembrano parole impossibili da dire davanti al dolore della morte, soprattutto quando percepiamo l’ingiustizia della morte, della morte di questi nostri fratelli, proprio qui in Cattedrale, il 22 luglio 1944. Erano venuti a cercare rifugio alla violenza della guerra, e qui li colpì in modo inesorabile. Queste parole il Signore le rivolge anche a noi, per dirci che è possibile una speranza anche davanti a tutta la violenza e la sopraffazione, l’odio che producono morte, distruzione, disumanità; è possibile perché la nostra speranza– e lo diciamo da cristiani – è la tomba vuota di Gesù. È Lui che è passato attraverso l’ingiustizia, la sofferenza innocente, è Lui il primo dei risorti che dice a ogni persona di ogni tempo, di ogni luogo, che c’è una vittoria sulla morte, che è già nel presente, e che si realizzerà nel futuro.
Nel presente forse non la vediamo, ma è la vittoria che si manifesta nei gesti di amore, di riconciliazione, di perdono, di pace, di costruzione di una fraternità in mezzo alla gente, che tutti desiderano, ma che sappiamo essere così difficile da sperimentare.
A volte anche nelle stesse famiglie ci si divide, si arriva fino all’odio, eppure chi non vorrebbe amare fino in fondo le persone più vicine? A volte anche nella convivenza di una nazione, di una città succede che ci si divide, e cos’è che può farci superare queste divisioni? Riconoscere che ognuno di noi, ogni persona ha un valore infinito, che non possediamo e non possiamo possedere, perché ogni persona è rapporto con l’infinito. Dall’infinito Gesù è venuto a prendere su di sé, e a portare con noi, la croce dell’esistenza quotidiana per dirci, appunto, che non è l’ultima parola. Maria Maddalena pensava l’avessero portato via e invece Lui era risorto, era di nuovo in piedi, dicendo anche a noi che ci possiamo rimettere in piedi, che possiamo camminare insieme e costruire la pace, perché nella sua vittoria sulla morte è annunciata già la vittoria che comincia a esserci ora, non come utopia di un futuro – che nel presente non si può vedere ma come inizio di una novità, destinata a compiersi al termine di una storia, di cui però Lui fa ognuno di noi protagonista. Chiediamo al Signore che la memoria di questi nostri fratelli e sorelle, che qui sono morti ottantuno anni fa, l’offrire questa Eucaristia per loro, per la loro gioia eterna, sia invito per ognuno di noi a farci costruttori– o come diceva spesso Papa Francesco – “artigiani della pace”».
Vedi anche: Omelia per la Messa in suffragio delle vittime della strage del Duomo del 22 luglio 1944