Il tempo della prova è il tempo in cui ci si interroga su Dio. Ma chi è Dio? E che cosa sta facendo? Sarà forse stato Lui a inviarci tutto questo? E perché non ci libera? È davvero in mezzo a noi oppure no?». Con queste domande dirette, il nostro vescovo Andrea fotografa una realtà che moltissimi di noi, donne ed uomini, stiamo vivendo. Ci poniamo queste domande. Cerchiamo delle risposte. Vogliamo un segnale di speranza, poiché di fronte a questi giganteschi fatti di calamità e di dolore contro la nostra salute, la fede vacilla nel credere nell’amore di Dio, come Padre, verso di noi, suoi figli.
La nostra indecisione di risposta tra accettare o respingere la paternità spirituale di Dio, ci spinge a formulare ancora una domanda: forse, nella nostra piena libertà, in qualcosa abbiamo sbagliato o nella nostra presunzione, abbiamo creduto di essere indipendenti da tutto e padroni di tutto?
Dio che si rivela Provvidenza
Ci fermiamo e con umiltà, valutiamo invece la nostra vulnerabilità e la nostra debolezza, invocando ancora, nel pericolo, l’aiuto del Padre nel venirci in soccorso.
«È tempo di amore questo, è tempo per amare e per questo, è tempo di speranza. Un Dio che si rivela Provvidenza nella scoperta per noi della forza della nostra preghiera», afferma in risposta il vescovo Andrea.
Ecco improvvisamente che, in tempi bui, come questi che con angoscia stiamo vivendo, la gente non sfugge dalla fede pur vacillando, ma in essa si rifugia. Il dato realistico ci viene offerto dalla grandissima presenza di uomini e donne che si sono uniti nella recita del Santo Rosario, trasmessa in diretta alla televisione il 19 marzo scorso su Tv2000, testimoniando i veri sentimenti profondi di un intero popolo, offuscati dalla nebbia dell’agiatezza del comodo vivere. «La preghiera del Rosario è la preghiera degli umili e dei santi che, nei suoi misteri, con Maria contemplano la vita di Gesù, volto misericordioso del Padre. E quanto bisogno abbiamo tutti di essere davvero consolati, di sentirci avvolti dalla sua presenza d’amore!” afferma papa Francesco nella sua preghiera.
L’essenziale
Sarà la paura, la visione della morte con già migliaia di morti, ma questa grande partecipazione alla preghiera collettiva, costituisce un realtà inequivocabile: si cerca l’essenziale che è oltre le soglie del visibile.
Lo si cerca in Dio ed a Lui ci si aggrappa come muschio e si prega come “mendicanti”.
Il senso religioso, come la storia ci insegna, non è un fatto imposto dalla cultura e nemmeno dalla Chiesa: è una struttura interiore dell’essere umano. È il riconoscimento, palese o nascosto, della limitazione dell’efficienza dell’uomo, la cui inferiorità si manifesta nella richiesta di soccorso al Divino.
Le inquadrature della televisione, nella ripresa della recita del Santo Rosario dalla chiesa di San Giuseppe al Trionfale in Roma, testimoniano questo essenziale, lontano dagli artifici scenografici ad effetto, con solo alcuni giovani che si alternavano a recitare le Ave Maria e i Pater Noster, a un vescovo, mons. Stefano Russo, con un sacerdote a coordinare la semplice ma profonda liturgia e a un pubblico di 5 milioni di persone a seguirla, rispondendo alle invocazioni.
Questo risultato è incredibile, stupefacente in relazione alla presenza del popolo nelle liturgie domenicali celebrate nelle nostre chiese. La diretta non è stata solo vista e ascoltata, ma condivisa, risultando un fenomeno di partecipazione mediatica sorprendente.
Un’emergenza spirituale
Recitare un Santo Rosario completo è un evento significativo che invita a riflettere su un dato fondamentale che sta esplodendo in questi tempi: «Mala tempora current sed peiora parantur» (corrono brutti tempi, ma se ne preparano di peggiori). L’uomo è in emergenza spirituale e culturale. I termini relativismo e secolarismo, sintesi concettuale del nostro modo di vivere, descrivano l’andamento sociale dell’uomo di oggi e ci impongono un mutamento di vita, opposto all’attuale, in cui vi è un calo impressionante dell’importanza della religione ed un forte regresso della ecclesialità.
Vi è una propensione a rigettare i criteri concettuali che la Chiesa Cattolica invoca per i movimenti laicali che desiderano situarsi all’interno della Chiesa, come esortava papa Giovanni Paolo II, tra cui il primato della vocazione di ogni cristiano alla santità e l’impegno ad essere presenti come sale” e “lievito” nella realtà umana.
Dio al centro di ogni cosa
L’uomo riscopre la preghiera e sente di rimettere al centro Dio, invocandone speranza e fede. Solo queste, in special modo la speranza, possono aiutare a vedere oltre le difficoltà attuali in un’ottica diversa, come il nostro vescovo Andrea ci indica.
L’uomo di oggi necessita anche di un cambiamento culturale di pensiero. Nietzsche, filosofo tedesco, perse la fede e la speranza in Dio e disse in modo beffardo che «la speranza è il peggiore dei mali, poiché prolunga i tormenti degli uomini» e si diede a vivere in modo sfrenato, dissoluto e vizioso. Morì paralizzato e in preda a demenza, dopo ripetuti ictus.
L’uomo senza Dio, senza la riscoperta del valore della spiritualità, non può vivere in sintonia con tutto ciò che di bello, di positivo offre la vita. L’uomo, limitato nella sua potenza di pensiero, di creatività e di difesa, solo cogliendo questa opportunità spirituale di sentimenti e di desideri, può rifuggire tutto quello che di negativo porta al nichilismo: nullità di valori etici, di credenze religiose, di ideali tradizionali. I 5 milioni di persone che si sono raccolte nella recita del Santo Rosario, hanno sentito la necessità di invocare l’aiuto di un Dio, di un Essere che sta sopra tutti e tutto, di cui regola ogni flusso spirituale, umano e materiale.
La preghiera è anche ricerca di contemplazione, di desiderio di silenzio, di meditazione, che ognuno porta dentro il proprio cuore.
Un testamento spirituale
Due anni or sono, il 16 marzo 2017, il mio caro amico Fausto, mi scrisse questo messaggio, dopo un nostro confronto religioso culturale, che riporto integralmente.
È la testimonianza di quanto Dio si fa sentire nel cuore e nella mente di ognuno: «Caro Antonio, grazie del saluto. Per quanto io stimi in te l’onestà d’animo, quella intellettuale, la tua bontà, la tua generosità, tu sai qual è la mia posizione sulla Chiesa, che rispetto, ma che spesso non condivido. Quando il potere da servizio diventa altro e perde la sua stessa ragione di essere, la mia ritrosia è epidermica e scoppia l’allergia. Ma ho grande rispetto di te per la tua fede. E tu sai bene che, se dovessi scegliere, preferirei di gran lunga, senza esitazioni né ripensamenti, andare a vivere e a tentare di cercare di essere un tutt’uno in chi tu più credi, a Monte oliveto Maggiore piuttosto che a La Verna oppure a Camaldoli. Ma doveri terreni, che ben conosci, e che con gioia cerco di onorare, mi tengono saldamente stretto nella melma della quotidianità. Un fraterno abbraccio».
Il 16 marzo 2020, nello stesso giorno dell’invio del messaggio di due anni fa, è deceduto. Queste sue aspirazioni le considero come il suo testamento spirituale che testimonia il suo desiderio, nel silenzio della sua anima, di conoscere Dio, di lodarlo, di ringraziarlo, di credere in Lui. Anche questo è preghiera.