Il perdono, difficile ma necessario spesso, nel corso dei notiziari televisivi, ci capita di assistere a scene di giornalisti invadenti che chiedono ai parenti delle vittime se perdonano o hanno perdonato i colpevoli di omicidi o reati più o meno efferati. È un fenomeno di violenza comunicativa che non contempla la dimensione del tempo e le circostanze che sono alla base di quel perdono, che è possibile offrire gratuitamente eppure sempre a caro prezzo. Sì, perché perdonare nel profondo non è un sentimento che si può solo vagheggiare, né tanto meno concedere in modo parziale o sotto condizione o addirittura fingere di porgere a chi ha commesso il male. Perdonare significa essere disposti a mettere in comunicazione la propria sofferenza con l’animo di chi l’ha provocata. Un perdono autentico comporta avere il coraggio di mettersi accanto a chi ha commesso un errore, anche molto grave e saper sostenerlo fino al punto di riscattarlo. Il perdono guarda in faccia il male che mortifica anzitutto chi lo commette.
Come cristiani siamo interpellati costantemente a portare pace, perdonando laddove il male ha inferto le sue ferite più dolorose. E quanto fa bene ritrovare la strada della riconciliazione e del perdono! Quando si è perdonati, infatti, si riacquista la dignità di figli amati e si può guardare al futuro con una nota di speranza che altrimenti potrebbe sembrare irraggiungibile. È proprio nella misura in cui ci si sente accolti, che si è poi a nostra volta in grado di offrire perdono al fratello che ci ha offeso, anche molto gravemente. I cristiani sono chiamati a costruire spazi di perdono reciproco, luoghi in cui la divisione viene sconfitta dall’amore dei fratelli che non hanno paura di compiere il gesto salvifico per eccellenza: cancellare il male, non facendo come se non ci fosse stato, ma come se sul foglio dell’esistenza si possa disegnare un panorama del tutto nuovo, frutto di un sacrificio offerto per amore e che solo con amore può essere accolto.