«Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure». Parlava del regno di Dio: non di un luogo lontano, ma di Lui stesso. Come aveva detto quel giorno in cui lo accusavano di avere un potere per opera del demonio: «Se io scaccio i demòni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio» (Mt 12, 28).
È Lui il Regno in mezzo a noi. In altro momento dice di essere «La via, la verità e la vita» (Gv 14, 6). In Lui si apre la strada alla pienezza della vita: il regno di Dio non è altro che la pienezza della vita, la verità che rende possibile la pace e la gioia, perché la verità è il senso vero di ogni cosa.
«Siamo in un deserto» (cf. Lc 9, 12), gli dicono gli apostoli. E davvero siamo tutti in un deserto di significato, di bellezza, di gioia, di amore. Una sete profonda brucia il nostro cuore, la nostalgia di una pienezza di vita che solo in certi rari momenti assaporiamo e che molti giungono a sentire quasi come una nostalgia cattiva, perché ci impedisce di essere tranquilli. Ma se appena richiudiamo la ferita di questa sete, allora non resta che la meschinità dei progetti di basso volo che portano al cinismo e all’indifferenza, preludio e radice dell’odio che vediamo attorno a noi ergersi come una forza sempre più minacciosa.
Gesù in quel giorno così carico di rivelazione, dette da mangiare a tutti e «tutti mangiarono a sazietà». Era un segno: chi può sfamare ogni persona nella sua fame di vita, d’amore, di libertà? Solo che può moltiplicare il pane, porta in sé la promessa di una moltiplicazione della vita intera. Sappiamo che non capirono: rimasero allo stupore per il pane mangiato, non per chi l’aveva moltiplicato per amore loro. E sempre, anche davanti al Segno dei Segni, l’Eucaristia, possiamo ridurre l’abisso di ciò che significa – l’amore per cui Cristo si offre per noi sulla croce e ci salva ora – a un formalismo, a un rito.
Per questo San Paolo doveva dire ai cristiani che celebravano l’eucaristia insieme, questo dono ricevuto e trasmesso fino a noi ora, che «il regno di Dio non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Cf. Rm 14, 17). L’eucaristia ci è data perché lasciamo che Cristo che riceviamo ci trasformi in Lui e nell’offerta Sua, noi offriamo noi stessi. Allora comincia la gioia e la pace che siamo chiamati a testimoniare al mondo.
Che stupore davanti a questo dono. Dice Youcat, il catechismo dei giovani: «L’essenza del vangelo è una rivelazione di chi è Dio per l’uomo e di chi è l’uomo per Dio. Di qui un duplice stupore: che Dio ami così tanto l’uomo e che l’uomo sia così tanto importante per Dio». Il dono è Lui, il dono sei tu o Cristo: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore, se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». Tu vuoi che sperimentiamo la vera vita, ora, qui e nell’eternità.
Alla fine di questa eucaristia, uscendo con il Santissimo Sacramento, portiamo in noi la gratitudine per questo dono, pane e vino della vita vera, che Gesù «sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek» – dice la liturgia – ci offre, offrendo se stesso. Lo portiamo nelle vie della città perché Lui è la speranza che abbiamo da offrire al mondo intero. Nella Sua presenza, nel suo Regno tra noi, si può sperare la pace e la redenzione da ogni male e siamo sfidati a offrire la nostra vita con la sua offerta totale per la gloria di Dio, perché il suo infinito amore sia riconosciuto e amato.
Da Lui, dall’amore del Signore che nell’Eucaristia ci è offerto, dal suo amore accolto e riamato, nasce la Chiesa, corpo vivo di Gesù in cui nel deserto del mondo e dei nostri cuori comincia a fiorire l’unità e la pace.
Maria, primo tabernacolo del Corpo di Dio nel mondo, interceda per noi.
Omelia pronunciata a braccio.
Avevo preparato una bella omelia molto teologica, ma vedendo tutti questi ragazzi e bambini qui in Cattedrale cambio un po’…
Avete sentito il Vangelo che ci ha raccontato un avvenimento successo nella vita di Gesù, quando tutta la gente gli era andata dietro, in un posto deserto dove non c’era nulla, e Lui aveva parlato del regno di Dio e aveva curato tante persone malate.
A un certo punto però si era fatto tardi… la gente aveva camminato tanto per arrivare fin lì, per cui i suoi amici gli dicono: «Bisogna mandarli via, perché siamo in un posto deserto e qui non c’è niente. Come farà altrimenti a sfamarsi tutta questa gente?». E Gesù risponde loro un po’ a sfida: «Dategli voi stessi da mangiare».
Ora, considerate che c’erano cinquemila persone… Come si faceva con solo cinque pani e due pesci a dare da mangiare a così tanta gente? Ecco allora che Gesù prende quei cinque pani e quei due pesci, li benedice e… tutti mangiarono! Anzi, avanzarono addirittura dodici ceste piene di pezzi di pane e pesce. Un grande miracolo, no? Tutti quelli che erano lì, più di cinquemila persone, si resero conto che Gesù aveva fatto un miracolo enorme.
“Miracolo” vuol dire proprio questo: fare una cosa impossibile. E si trattava di un miracolo che aveva anche un significato molto profondo… Secondo voi, che significato poteva avere questo miracolo che Gesù fece? Cosa voleva che capissero quelli che erano lì con lui? Avrebbe potuto anche dirgli: «Va bene, adesso è venuto il momento di andare via. Andate a cercarvi da mangiare da soli». Invece decise di fare questo gesto: tutti mangiarono a sazietà e ne avanzò. Cosa voleva allora che capissero quelli che parteciparono a tutto questo? Voi bambini ve lo siete domandato? E voi adulti ve lo siete mai chiesto?…
Chi è che da mangiare ai suoi bambini? Il babbo e la mamma! E cosa dimostrano quando danno da mangiare ai loro figli? Che vogliono loro bene. Ecco, Gesù voleva far capire l’amore infinito di Dio, che vuole rispondere non solo alla fame dello stomaco, ma a una fame più profonda che noi abbiamo: la fame del bene, dell’amore, della pace, della libertà. Cioè la fame di una vita piena, la fame di essere contenti. Ossia: Gesù voleva far capire che la vera soddisfazione, la vera gioia, la vera libertà, la vera pace, era Lui, era proprio Lui.
Ma, vedete, Gesù non si ferma qui: infatti immediatamente dopo va via, senza farsi vedere dalla gente, per recarsi a Cafarnao. E le persone lo cercano ancora e arrivate a Cafarnao, che era un villaggio dove abitava Pietro, e trovano Gesù nella Sinagoga, la casa di preghiera degli ebrei.
Gesù sapeva bene che lo stavano cercando perché lo volevano fare Re. Pensavano infatti: «Se Lui ha dato da mangiare a tutti, è il più grande di tutti». Gesù sapeva che queste persone non avevano capito nulla… E cos’è che quelle persone non avevano capito? La cosa fondamentale: che Lui quel gesto lo aveva fatto per amore, non per farsi grande e essere potente.
Allora in quel momento cominciò a dire loro: «Guardate, voi avete mangiato quel pane e vi siete sfamati; ma c’è un altro pane di cui voi avete bisogno, e quel pane sono io, perché sono il pane della vita, cioè che rende la vita vera». Loro non capivano, e lui insisteva: «Guardate, dovete mangiare la mia carne e bere il mio sangue». E questi lo guardavano straniti: «Ma come?! Cosa vuol dire?». Gesù insisteva: «Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita e non sarete felici. La mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda». Allora, a un certo punto, cominciarono a dire: «Questo è proprio pazzo!» E andarono via tutti. Il Vangelo dice addirittura che andarono via anche quelli che l’avevano seguito fin dall’inizio. In pratica rimasero solo i dodici apostoli. E Gesù ai suoi amici, agli apostoli dice: «Perché non andate via anche voi?» Non disse loro: «Per favore, rimanete con me, non mi lasciate solo». Sfidò anche loro. Li provocava perché quello che aveva appena detto alla folla era una cosa impossibile da capire, ossia che dovevano mangiare il suo corpo e bere il suo sangue. Avranno pensato: «Ma che dobbiamo diventare cannibali?!» Ma voi sapete bene cosa voleva intendere Gesù: il suo corpo e il suo sangue a cosa si riferiscono?… All’Ostia consacrata, all’Eucaristia. Noi facciamo la comunione e nell’Ostia riceviamo il corpo di Gesù. Ma il corpo di Gesù è Gesù stesso, quello che noi riceviamo con quel pezzetto di pane, che ha sapore di farina e acqua impastati, è Gesù, tutto intero e non semplicemente un pezzetto del suo corpo. È Gesù che entra dentro di noi, che invade il nostro cuore, perché ci vuol trasformare in Lui, ci vuol fare amare come ama Lui. E questa è l’unica strada: diventare una cosa sola con Gesù, per vivere davvero intensamente la vita, per poter trovare risposta a quella fame di bene, di amore, di giustizia, di bellezza, di libertà, che ci fa uomini e donne.
Voi ragazzi, siete pieni d’entusiasmo e di facilità a stupirvi, ma tanti adulti invece, a un certo punto della vita, è come se rinunciassero, è come se dicessero: «Sì, io avrei anche un desiderio infinito, ma è meglio ridurlo, perché tanto non è possibile, non si realizzerà». Ecco, questo è esattamente ciò che chiude il nostro cuore al Signore. Invece Gesù ci ha dato se stesso, ci ha donato il suo corpo nell’Eucaristia perché vuole portarci davvero a saziare la nostra fame, la nostra sete, il nostro bisogno di verità, d’amore e di pace.
Noi stasera porteremo in processione l’Eucaristia. Di solito nelle processioni si portano le statue dei santi, ma la processione del Corpus Domini è un’altra cosa. Noi portiamo proprio Gesù, e vogliamo che Lui invada tutta la nostra vita e tutto il mondo. E vogliamo dire a tutti: «Guardate, ciò che tutti desiderano è qui, è Lui, è Lui che è fra noi, è Lui che dona se stesso».
Vi dicevo poco fa che quando lo andarono a prendere per farlo Re, Gesù cominciò a provocarli, perché voleva far loro capire che il modo per regnare davvero e essere pienamente noi stessi, non è mettersi sopra gli altri, ma è dare se stessi nell’amore.
Per questo ogni volta che guardiamo l’Ostia, e quando poi la riceviamo, dobbiamo pensare a Gesù che è lassù sulla croce, che ha dato la vita per noi e continua a darla, e che oggi soffre nel mondo, nella sofferenza di tanti innocenti e offre a tutti il cammino per la pace. Noi uomini spesso non lo vogliamo seguire, pensiamo di essere bravi da soli, di non aver bisogno di Colui che ha dato tutto per noi, che dà tutto in ogni istante, per noi e per tutta l’umanità. Anche voi ragazzi, che avete fatto la vostra Prima Comunione, chiedete a Gesù di diventare sempre più suoi amici. E preghiamo stasera perché tutti noi lo possiamo accogliere davvero nel cuore, per poi testimoniarlo al mondo. In Lui c’è la speranza della pace vera. Pregare il Signore è fare la cosa più grande che è nelle nostre possibilità, perciò questa celebrazione e poi la processione viviamole nella preghiera e non come un gesto esteriore, ma come un dire: «Signore ti voglio bene, Signore vorrei che tutti ti conoscessero e vorrei che tutta la nostra vita fosse trasformato da te».
+ Giovanni Paccosi