Un evento molto atteso e apprezzato la cena dei giornalisti col vescovo, organizzata ogni anno dall’Ufficio diocesano comunicazioni in occasione della festa di San Francesco di Sales. Quest’anno l’incontro si è svolto il 30 gennaio e purtroppo ha registrato l’assenza di alcuni rappresentanti delle testate giornalistiche locali, a causa di malanni di stagione. La serata si è svolta alla Nunziatina ed ha avuto come filo conduttore il tema proposto dal Santo Padre per la 54a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: «“Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia».
Il vescovo ha offerto una riflessione sul tema proposto, lasciando infine spazio alle osservazioni e alle domande a tutto campo dei giornalisti. Quando una narrazione può dirsi buona? «Quando si prende in seria considerazione la dignità della vita di ciascuno» ha affermato il vescovo: «raccontare storie buone significa rispettare chi è vittima e chi ha sbagliato, ciò che fa parte dell’ordine della creazione e ciò che è proprio della vita umana». Non si tratta quindi di tacere ciò che è male, ma di mantenere il rispetto per la dignità umana di tutti. In questo senso possiamo intendere l’invito del Papa a narrare «storie che edifichino, che non distruggano ma anzi aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme». Il ruolo del giornalista, un ruolo sapienziale, è essenziale nella ricerca delle notizie da raccontare e nell’adottare sempre una prospettiva costruttiva. Il rischio infatti è che prevalga la narrazione della negatività, lo scandalo, fino ad arrivare a vere e proprie strumentalizzazioni o invenzioni (le cosiddette fake news). Il vescovo ha proposto a tutti un “esercizio”: pensare a quali sono le storie che ci hanno segnato personalmente, quelle storie che desideriamo condividere perché hanno toccato la nostra esistenza. «Ciascuno di noi conosce diverse storie che profumano di vangelo», ha detto il vescovo, «storie che reclamano di essere condivise, raccontate». Possono essere storie di vangelo anche quelle in cui si parla di non credenti, ha notato monsignor Migliavacca.
La riflessione si è allargata poi al tema dei mezzi di comunicazione e all’importante sfida dei social, in cui l’immediatezza diventa efficacia e, talvolta, contagio della comunicazione buona. L’ultimo accento è caduto ancora sul ruolo del narratore e, a questo proposito, il vescovo ha ricordato l’amico fotoreporter Andy Rocchelli, cercatore appassionato di storie, ucciso in Ucraina nel 2014, mentre svolgeva il suo servizio di giornalista. Aveva trent’anni e aveva scelto di rischiare la vita per far conoscere storie attraverso i suoi scatti fotografici e l’ha fatto sul serio, fino alla fine. Il vescovo ha infine ricordato storie buone del nostro territorio. La discussione sulla ricerca di queste storie buone da raccontare e sull’esigenza di una narrazione costruttiva anche delle notizie «cattive» ha coinvolto i giornalisti che hanno portato ciascuno la propria esperienza e le proprie osservazioni.