Alla vigilia della sua partenza per gli Esercizi spirituali in Terra santa, abbiamo rivolto al vescovo Migliavacca alcune domande su temi di attualità sia ecclesiale che civile, partendo dalle prospettive pastorali diocesane per arrivare al dibattito sui simboli religiosi e sul fine vita.
Eccellenza, è passato un anno dalla sua seconda lettera pastorale …E camminava con loro che contiene indicazioni per il cammino della Chiesa sanminiatese e in cui si parla di sei laboratori dai quali si attendono proposte concrete per altrettanti ambiti essenziali della vita diocesana. A che punto sono i lavori? Ci sarà una nuova lettera pastorale per dare ulteriori indicazioni di percorso?
«Per l’Avvento intendo scrivere una breve lettera pastorale nella quale raccogliere alcune indicazioni per il cammino della Visita pastorale e le idee per il triennio che ci porterà al 2022, al Giubileo della diocesi. Le relazioni dei sei laboratori, che hanno lavorato per più di un anno, sono state discusse in consiglio pastorale e presbiterale. Al termine di questo percorso mi è chiesto di operare un discernimento e provare a dare alcune linee operative. Certo, non c’è la pretesa di dire tutto su tutto ma l’intento di condividere alcune prospettive e scelte. In questa lettera per l’Avvento darò quindi alcune indicazioni frutto dei laboratori che così hanno concluso il loro percorso».
Nella Chiesa sta crescendo l’attenzione per quelle che un tempo, nella tradizionale visione eurocentrica, erano considerate «periferie». Stiamo vivendo il mese missionario straordinario fortemente voluto dal Santo padre e il Sinodo per l’Amazzonia, su cui si concentra un interesse non solo regionale ma universale. Cosa sta cambiando nella percezione dei problemi globali da parte del mondo ecclesiale?
«Il Mese missionario straordinario è pensato dal Papa in sintonia e in continuità con la Evangelii gaudium: un rilancio della Chiesa in uscita, che annuncia il Vangelo, che ritrova l’entusiasmo, la freschezza, il guardare avanti, il non rinchiudersi nel lamento, nel “si è sempre fatto così”. Il Mese missionario vuol anzitutto riproporre quest’anima e questa prospettiva della Chiesa e poi centrare l’attenzione sull’esperienza della missio ad gentes, l’annuncio ai popoli, che può essere di nuova evangelizzazione o di rievangelizzazione a seconda dei contesti in cui ci si trova. Riguardo al Sinodo dell’Amazzonia, si tratta di un sinodo continentale che però, il papa lo ha sottolineato, riguarda tutta la Chiesa. In questa prospettiva il sinodo dell’Amazzonia è una sorta di laboratorio di prospettive per la Chiesa intera: dobbiamo lasciarlo lavorare e agirà lo Spirito. È un’occasione nella quale la Chiesa si apre di nuovo all’esperienza delle periferie e il Papa ci ricorda che il mondo lo si vede meglio dalle periferie, dal basso. Ho visitato quest’estate l’Amazzonia ed è una terra davvero evocativa di tante ricchezze. Non dimentichiamo l’aspetto ecologico: il Papa ha già parlato nella Laudato si’ dell’esigenza di custodire la nostra casa comune che è la Terra e l’Amazzonia richiama anche a questo tema di rispetto, di attenzione alla natura e di tensione ecologica».
Papa Francesco è stato recentemente attaccato da alcune frange tradizionaliste del cattolicesimo che lo accusano di voler portare la Chiesa lontano dall’ortodossia della fede e di schierarsi dalla parte di chi fino a ieri era percepito come un nemico o una minaccia. Qual è l’atteggiamento giusto da tenere di fronte a questi attacchi? Che cosa si richiede a un cattolico che voglia rimanere fedele a Cristo e alla Chiesa?
«Personalmente sono grato a papa Francesco per il grande bene che sta facendo, come dono provvidenziale, alla nostra Chiesa. Il Papa ci sta aiutando a tornare nel solco del Vangelo. Le varie iniziative del papa, le sue scelte, gli stimoli che dà alla Chiesa a me sembrano davvero parole di Vangelo, potremmo dire, sine glossa, la freschezza del vangelo che come tale è parola che divide, che mette alla prova, che scandalizza alcuni. Come è avvenuto a Gesù: i grandi uomini religiosi sono rimasti scandalizzati e hanno dato dell’eretico. Indubbiamente c’è un certo tipo di religiosità e di essere uomini religiosi che fa fatica a lasciarsi penetrare dal Vangelo e quindi reagisce al papa che ce lo sta riproponendo. Ricordiamoci il detto dei Padri “Ubi petrus ibi ecclesia”, dove c’è Pietro lì c’è la Chiesa. A noi è richiesta la profonda comunione col Papa per essere e per sentirci Chiesa».
Recentemente il ministro dell’istruzione Fioramonti ha rinfocolato la polemica sul Crocifisso nei luoghi pubblici, auspicando di togliere i simboli religiosi dalle aule scolastiche, d’altra parte l’ex Ministro dell’interno Salvini ha ostentato spesso il Santo Rosario e altri oggetti legati alla fede cattolica durante la campagna elettorale e in parlamento. Sembra che i simboli cristiani abbiano ancora una loro centralità nel dibattito politico in Italia. Quali sono le sue considerazioni in merito?
«Dispiace quando si vede che la politica strumentalizza i segni religiosi. Quella del ministro, che vorrebbe collocare una cartina geografica al posto del Crocifisso, è un’affermazione fuori luogo, controproducente dal punto di vista politico e irrispettosa anzitutto dei non credenti e poi di tutti i credenti. Penso che il Crocifisso nei luoghi pubblici, come anche nelle scuole, sia un segno che parla a tutti perché parla di un amore che arriva a donare la vita. Credenti o non credenti si può rimanere stupiti davanti a un amore che si dona. Allora penso che il crocifisso non disturbi nessuno e ci stia benissimo nelle aule scolastiche e anche nei luoghi pubblici. Riguardo al Rosario, era fin troppo evidente come Salvini l’abbia usato in modo strumentale e irrispettoso nei confronti dei credenti e della devozione mariana. Un tipo di comportamento, questo, che giustamente richiede una reazione da parte dei cattolici perché i segni religiosi rimangano tali e non siano strumentalizzati dalla politica».
Soffermandoci ancora sulla vita politica italiana, ha fatto discutere la sentenza della corte costituzionale che ha depenalizzato, in alcuni casi, l’assistenza al suicidio. Qual è la posizione della Chiesa su questo punto e come dovrebbero agire i cattolici coinvolti a vario titolo in questo delicato passaggio legislativo?
«Userei le parole del cardinal Betori nell’omelia ad Assisi: minacciose nubi si addensano sul termine della vita con gli orientamenti che sono stati presi ultimamente. Anche riguardo al tema della vita il messaggio del Vangelo fa fatica a toccare i cuori, a coinvolgere. Questo vale per tutto ciò che riguarda l’inizio della vita, col grosso problema dell’aborto, che essendo la soppressione di una vita innocente non è mai giusto né consentito. Allo stesso modo, se la Chiesa è contraria all’accanimento terapeutico, d’altra parte non approva e ritiene estremamente pericoloso – e anch’io ritengo assolutamente deplorevole – la scelta di un suicidio assistito per chi dovesse desiderarlo. Mi sembra fuorviante parlare di esercizio di libertà come ha fatto qualcuno, è piuttosto un impoverimento umano quello di non rispettare la vita fino al suo termine naturale. Ecco, su questi temi della vita, così come dell’accoglienza e della difesa dei segni cristiani perché non siano strumentalizzati dalla politica, credo che noi cattolici dobbiamo farci sentire».
Eccellenza, un’ultima domanda: recentemente lei ha ricevuto dalla Cet la delega alla pastorale della sanità, che si va ad aggiungere a quella del turismo, sport e tempo libero. Come ha accolto questo nuovo incarico?
«Ho accolto questo impegno anzitutto come motivo di stimolo a una maggiore attenzione da parte mia verso i malati, il mondo della malattia e la realtà della sanità in Toscana, con particolare riferimento al ruolo delicato e importantissimo dei cappellani ospedalieri. Noi abbiamo in questo un “campione” che è don Agostino. Cercherò di conoscere meglio questa realtà e di mettermi al servizio».