Una ragazza, semplice ed umile, vissuta più di 700 anni fa. È lei, la Beata Diana Giuntini da Santa Maria a Monte, che ancora oggi, a distanza di tutto questo tempo, riesce a smuovere l’interesse dei molti che ogni anno partecipano ai suoi festeggiamenti il Lunedì dell’Angelo. Il corpo della Beata Diana – proclamata tale “a furor di popolo” – riposa tutt’oggi all’interno di un’urna fabbricata nel 1695 e collocata a sinistra dell’altare della Collegiata di San Giovanni Apostolo ed Evangelista, chiesa posta all’interno dell’antico terzo anello murario a difesa del castello. È questo il primo segno evidente della sua reale esistenza, ma soprattutto della devozione che le è stata da sempre tributata: il corpo di una giovane donna si è conservato per molti secoli, mantenendosi integro e sano, senza subire le naturali alterazioni a cui sarebbe soggetta normalmente una salma. Oltre alle molte agiografie che sin dal Seicento si riferiscono alla vita della ragazza, mettendo per iscritto una tradizione che si trasmetteva oralmente di generazione in generazione, un dato su tutti la colloca nella storia dell’umanità: l’attestazione di un hospitali Beate Diane– una sorta di lazzaretto dove esercitava la carità verso gli altri –, citato nel 1373 all’interno del Registro delle Deliberazioni del Comune, e menzionato anche nel 1391, nello Statuto della stessa comunità santamariammontese.
Alla luce di quel vasto e complesso movimento eremitico-penitenziale che interessò l’Italia nel corso del XIII secolo, probabilmente Diana visse tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento, morendo in giovane età. Esattamente tra i venti ed i trenta anni di età, come confermato dalle analisi effettuate nel 1999 sulle sue spoglie mortali dal gruppo di paleopatologia dell’Università di Pisa. Ecco che, al momento della morte, risulta probabile che il corpo della Beata rimanesse esposto alla venerazione dei fedeli nella Pieve di Rocca, principale edificio religioso del castello, sicuramente fino al 1327. Questo fu l’anno in cui Santa Maria a Monte, munitissimo castello lucchese, venne assediato e conquistato dai fiorentini, i quali costruirono il perno di tutto il sistema difensivo sulla Rocca, che perse progressivamente la sua funzione religiosa, riconvertita in presidio e sede della guarnigione militare. All’indomani della conquista, il clero locale dovette perciò trovarsi un’altra chiesa in cui officiare: la comunità religiosa, in un primo tempo, si spostò verosimilmente nell’altro edificio sacro presente nelle vicinanze del castello ai piedi del colle. Si trattava della chiesa di San Dalmazio, dove traslarono anche la salma della Beata. Quando poi il castello venne restaurato e fu terminato l’ampliamento del piccolo oratorio di San Giovanni, che divenne l’attuale Collegiata, il corpo venne lì definitivamente ubicato, nella cappella a lei dedicata. È questo l’evento che ancora oggi viene rievocato il lunedì di Pasqua con la Processione delle Paniere: in onore della Beata una processione ha inizio dalla cappella posta nelle vicinanze del luogo in cui sorgeva l’antica chiesa di San Dalmazio, in fondo alla costa della collina, e sale fino alla Collegiata nel centro storico, a perenne ricordo della traslazione del suo corpo dall’una all’altra chiesa. È un giorno in cui tutta la comunità abbandona divisioni e tradizionali campanilismi – innegabili e tipici delle contrade – per unirsi attorno alla figura della propria Patrona. Ciascun rione, infatti, offre alla Beata un cesto colmo di fiori. Portato sulla testa da una giovane dama accompagnata da un cavaliere, la “paniera” – così chiamata dagli abitanti – richiama il celebre miracolo col quale è conosciuta la Beata Diana: la trasformazione del pane, che Diana fanciulla portava nel grembiule, in “rose e fiori” e poi nuovamente in pane per evitare di essere scoperta dal padre, benestante, nella sua carità verso i poveri.
Nel corso dei secoli la Beata Diana è stata un punto di riferimento per molti fedeli, stimolando la vocazione sacerdotale per tanti di questi: mirabile l’esempio di Mauro Meacci, attuale Abate di Subiaco. Allo stesso tempo, la Beata è stata fonte di ispirazione per molti homini illustri, che si sono dilettati a ricordarla a tutti i livelli. Sul piano artistico, fu Anton Domenico Bamberini, pittore attivo tra la fine del Seicento e la metà del Settecento prevalentemente nella Diocesi di San Miniato affrescando il Santuario del Santissimo Crocifisso e la Cattedrale, a realizzare nel 1734 una piccola tela ad olio dove la ritrasse in abiti agostiniani. Anche le vicende della famiglia Carducci, che risedette a Santa Maria a Monte negli anni dal 1856 al 1858, andarono ad intrecciarsi con la Beata Diana. Sul piano scientifico, il 5 Gennaio del 1857 Michele Carducci, padre di Giosuè, in qualità di medico chirurgo del paese, eseguì una perizia scientifica sul corpo della Beata. Dopo «un diligente esame», il Carducci riferì come fosse «in uno stato di perfetta integrità in rapporto al sistema osseo e che tranne poche, esistono in uno stato mirabile le congiunture dell’estremità superiori fino ad ambo le mani». In ambito letterario anche il futuro premio Nobel, che deteneva la cattedra di professore di retorica al ginnasio di San Miniato, ebbe modo di comporre l’ode «Alla Beata Diana Giuntini», scritta da Giosuè in occasione dei festeggiamenti del 1857.
Ancora oggi, alcune delle parole usate dal poeta, vengono cantate dai fedeli nell’inno composto per la Beata. Ancora oggi sono migliaia le persone che, nel giorno del Lunedì dell’Angelo, riempiono il centro storico per vedere, o rivedere, la bellezza delle “Paniere” fiorite che, come un soffice tappeto profumato, giungono in Collegiata tra canti, commozione e vera devozione. Santa Maria a Monte tutta si riconosce nella figura della Beata Diana. Il centro storico si mette il “vestito buono”, “l’abito nuziale” perché la Beata venga onorata nel migliore nei modi. Ecco il motivo delle molteplici iniziative, come mostre espositive e visite guidate agli ormai noti sotterranei e ai musei – il Museo “Casa Carducci”, la Torre dell’Orologio ed il Museo Civico intitolato proprio alla figura della Beata –, volte a far conoscere la storia del borgo e quanto di bello e apprezzabile Santa Maria a Monte offre al visitatore. In più, quest’anno l’Area Archeologica ha visto la presentazione del volume «Il Fonte Restituito». Una pubblicazione che ha affrontato i recenti lavori di restauro al Fonte Battesimale realizzato nel 1468 da Domenico da Rovezzano, una delle opere “fiori all’occhiello” del territorio, nonché rara testimonianza dell’arte rinascimentale in tutto il Valdarno Inferiore. Va da sé che un giorno come questo si carichi di molteplici aspettative perché possa essere davvero un momento di festa per tutti. Ecco spiegato il motivo per cui un forte sentimento di mestizia abbia invaso i cuori dei presenti allorquando il cielo, dopo pranzo, si è colorato di un grigio plumbeo, portatore di tristi presagi. Forti nell’aiuto meteorologico che tradizionalmente i fedeli associano alla Beata, ancora più delusione è subentrata quando una costante pioggia ha accompagnato la Processione fino alla Collegiata. Persino le parole di S. E. Mons. Migliavacca, al termine del cammino, ci apparivano un “addolcire” quella pillola che sul momento ci sembrava così amara da inghiottire.
Tuttavia, a ben pensarci, utilizzando proprio le parole del Vescovo, la pioggia, che nutre e irriga la terra, è stata una vera “benedizione”: così come vedere rinnovarsi il raccoglimento con cui fedeli e “spettatori” hanno partecipato alle celebrazioni; così come assistere all’ingresso in Collegiata – colma di persone che hanno sfidato la pioggia – delle 27 ceste fiorite, autentici squarci di luce in una giornata piovosa; così come osservare i giovani – ben 54 fra dame e cavalieri – pieni di gioia per aver portato a termine la Processione nonostante il maltempo. Benedizioni che, siamo certi, testimoniano come anche Diana continui a “risguardare benigna” verso un popolo che con fede fa sentire ancora oggi, a distanza di più di 700 anni, la sua ammirata devozione, malgrado gli ombrelli aperti.