Consegna ai Rappresentanti delle Istituzioni del Messaggio del Papa per la LVIII Giornata mondiale della Pace

"Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace"
12-01-2025

 

I giorni del Natale anche quest’anno ci hanno ricondotto a sguardi e azioni di pace e di speranza: mi ha colpito, dopo ormai quasi due anni di ministero a San Miniato, vedere con quanta passione tante persone danno il proprio tempo, le proprie energie, i propri soldi, se stesse, per gli altri. Nelle RSA, nelle case di accoglienza, negli ospedali, ma anche nelle associazioni culturali, ricreative, nelle rappresentazioni natalizie, e nei Presepi (un fenomeno tutto nostro per estensione e bellezza), ho visto tanti segni di una socialità possibile e in atto. Diversi di voi Sindaci stanno affrontando da pochi mesi questo impegno così grave e così significativo – sapete che il Papa spesso parla della politica come la più alta forma della carità – e credo che vi succeda, quando potete dare risposte concrete a situazioni difficili, di fare esperienza di ciò che dice San Paolo, cioè che «c’è più gioia nel dare che nel ricevere» [At 20, 35].

Non sono mancate nubi e circostanze dolorose: penso a una piccola comunità come Forcoli, per esempio, in cui in un anno due giovani uomini, Alessandro di 36 anni ad aprile, e Marco di 38 anni pochi giorni fa, usciti di casa per lavorare, hanno perso la vita in modo tragico. O penso alle due bambine di Santa Croce, la piccola Diarra morta ad agosto nell’incendio della sua casa, e Sokhna di 8 anni morta con la zia Mame in un incidente di auto il 29 dicembre. Ma anche il giovane calciatore Mattia Giani, di Ponte a Egola, deceduto nell’aprile scorso. Mi fermo qui, nel citare questi eventi drammatici che ci hanno toccato, ma ce ne sono state tanti altri, che hanno messo in questione tutti noi, ma nelle quali si è anche resa evidente la solidarietà dei nostri popoli.

Anche le situazioni di crisi del mondo del lavoro, in particolare nel nostro comprensorio del cuoio, destano apprensione per la salute delle aziende e soprattutto per la situazione delle famiglie dei lavoratori, molti dei quali in cassa integrazione. Questa nostra crisi locale mostra l’incidenza capillare delle crisi nazionali e mondiali, provocate da scenari economici che mutano, ma anche dal cambio climatico che sconvolge la vita del pianeta con catastrofi ed eventi estremi sempre più frequenti e soprattutto, purtroppo, dalle guerre in corso. Non passa giorno che Papa Francesco non rinnovi gli appelli al dialogo, sottolineando l’assurdità della guerra. È proprio il tema del nostro incontro.

Le guerre in corso non ci lasciano indifferenti e le iniziative per la pace che in tutte le nostre comunità sono state realizzate, contribuiscono a non abituarsi alla violenza e al sopruso come mezzo di risoluzione dei conflitti. La nostra Diocesi ha voluto pregare per la pace, tornando a un simbolo che proprio nella preghiera per la pace ha assunto, da più di sei secoli, un’importanza speciale: il SS. Crocifisso di Castelvecchio, che nel 1399 fu portato in tutte le città della Toscana, chiedendo a Cristo che facesse scoppiare la pace nelle città e paesi della regione. Il 13 ottobre abbiamo iniziato l’anno pastorale della Diocesi portando in processione silenziosa la sacra effigie e celebrando poi la Messa per la pace nel mondo.

Oggi vi ha invitati qui, e vi ringrazio per la vostra adesione all’invito, non scontata essendo ancora così vicino il periodo delle feste in cui siete stati occupati in innumerevoli impegni e per di più di domenica pomeriggio, sottraendo del tempo alle vostre famiglie, per consegnare a ognuno di voi (e quindi alle comunità e istituzioni che rappresentate) il Messaggio di Papa Francesco per la LVIII giornata per la pace, dal titolo “Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace”.

In esso il Papa, sottolineando che quest’anno la Giornata si celebra proprio all’inizio dell’anno del Giubileo dedicato alla speranza, ne sottolinea l’origine nella storia biblica con queste parole:

Il “giubileo” risale a un’antica tradizione giudaica, quando il suono di un corno di ariete (in ebraico yobel) ogni quarantanove anni ne annunciava uno di clemenza e liberazione per tutto il popolo (cfr Lv 25,10). Questo solenne appello doveva idealmente riecheggiare per tutto il mondo (cfr Lv 25,9), per ristabilire la giustizia di Dio in diversi ambiti della vita: nell’uso della terra, nel possesso dei beni, nella relazione con il prossimo, soprattutto nei confronti dei più poveri e di chi era caduto in disgrazia. Il suono del corno ricordava a tutto il popolo, a chi era ricco e a chi si era impoverito, che nessuna persona viene al mondo per essere oppressa: siamo fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, nati per essere liberi secondo la volontà del Signore (cfr Lv 25,17.25.43.46.55). (Messaggio n.2)

Ma subito nel numero seguente, attualizza queste note storiche riportandole alla nostra situazione attuale in cui invece del suono del corno rituale siamo invitati a ascoltare il grido di aiuto di tanti poveri e sfruttati:

Anche oggi, il Giubileo è un evento che ci spinge a ricercare la giustizia liberante di Dio su tutta la terra. Al posto del corno, all’inizio di quest’Anno di Grazia, noi vorremmo metterci in ascolto del «grido disperato di aiuto» [Spes non confundit. (9 maggio 2024)] che, come la voce del sangue di Abele il giusto, si leva da più parti della terra (cfr Gen 4,10) e che Dio non smette mai di ascoltare. A nostra volta ci sentiamo chiamati a farci voce di tante situazioni di sfruttamento della terra e di oppressione del prossimo [Cfr S. Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 51]. Tali ingiustizie assumono a volte l’aspetto di quelle che S. Giovanni Paolo II definì «strutture di peccato» [Enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987) 36] poiché non sono dovute soltanto all’iniquità di alcuni, ma si sono per così dire consolidate e si reggono su una complicità estesa. (Messaggio n. 3)

Mi sembra necessario continuare la lettura del messaggio, perché queste prime linee danno l’orizzonte di ciò che poi il Papa propone:

Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. Si fomentano e si intrecciano, così, sfide sistemiche, distinte ma interconnesse, che affliggono il nostro pianeta [Cfr Discorso Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali, 16 maggio 2024]. Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare. Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità. All’inizio di quest’anno, pertanto, vogliamo metterci in ascolto di questo grido dell’umanità per sentirci chiamati, tutti, insieme e personalmente, a rompere le catene dell’ingiustizia per proclamare la giustizia di Dio. Non potrà bastare qualche episodico atto di filantropia. Occorrono, invece, cambiamenti culturali e strutturali, perché avvenga anche un cambiamento duraturo [Cfr Es. ap. Laudate Deum (4 ottobre 2023), 70]. (Messaggio n. 3)

Poi il Papa invita a riconoscere che tutti siamo debitori: infatti cosa abbiamo di nostro che non lo abbiamo ricevuto? Cita S. Basilio di Cesarea: «Ma quali cose, dimmi, sono tue? Da dove le hai prese per inserirle nella tua vita? […] Non sei uscito totalmente nudo dal ventre di tua madre? Non ritornerai, di nuovo, nudo nella terra? Da dove ti proviene quello che hai adesso? Se tu dicessi che ti deriva dal caso, negheresti Dio, non riconoscendo il Creatore e non saresti riconoscente al Donatore» [Homilia de avaritia, 7: PG 31, 275]. (Messaggio n. 5).

Se dimentichiamo questo nostro essere debitori siamo esposti all’inganno di pensare che dobbiamo farci padroni degli altri.

Quando una persona ignora il proprio legame con il Padre, incomincia a covare il pensiero che le relazioni con gli altri possano essere governate da una logica di sfruttamento, dove il più forte pretende di avere il diritto di prevaricare sul più debole (…) Il sistema internazionale, se non è alimentato da logiche di solidarietà e di interdipendenza, genera ingiustizie, esacerbate dalla corruzione, che intrappolano i Paesi poveri. (Messaggio n. 6).

Il Debito estero diventa così uno strumento di controllo dei più forti sui più deboli. C’è bisogno di un cambiamento:

Il cambiamento culturale e strutturale per superare questa crisi avverrà quando ci riconosceremo finalmente tutti figli del Padre e, davanti a Lui, ci confesseremo tutti debitori, ma anche tutti necessari l’uno all’altro, secondo una logica di responsabilità condivisa e diversificata. Potremo scoprire «una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri» [Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 35]. (Messaggio n. 8).

Il Papa poi propone tre iniziative concrete, che potrebbero in questo anno Giubilare, introdurre dinamiche di sviluppo e di giustizia:

La prima si rifà alla richiesta analoga espressa da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000: la cancellazione o riduzione del debito estero, sottolineando che questo si potrebbe pensare anche come restituzione di un debito delle nazioni sviluppate con quelle povere: il debito ecologico. Lo propone non come iniziativa spot, ma come inizio di un processo che porti allo “sviluppo di una nuova architettura finanziaria, che porti alla creazione di una Carta finanziaria globale, fondata sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli”. (Messaggio n. 11).

La seconda iniziativa che Papa Francesco propone è la seguente:

“Un impegno fermo a promuovere il rispetto della dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, perché ogni persona possa amare la propria vita e guardare con speranza al futuro, desiderando lo sviluppo e la felicità per sé e per i propri figli. Senza speranza nella vita, infatti, è difficile che sorga nel cuore dei più giovani il desiderio di generare altre vite. Qui, in particolare, vorrei ancora una volta invitare a un gesto concreto che possa favorire la cultura della vita. Mi riferisco all’eliminazione della pena di morte in tutte le Nazioni. Questo provvedimento, infatti, oltre a compromettere l’inviolabilità della vita, annienta ogni speranza umana di perdono e di rinnovamento [Cfr Spes non confundit. (9 maggio 2024), 10]. (Messaggio n. 11).

Come terzo impegno il Papa indica il disarmo e in questa prospettiva anche che si stabilisca una percentuale del denaro che gli stati spendono per gli armamenti vada a costituire un fondo internazionale per eliminare definitivamente la fame che ancora affligge tante persone nel mondo e favorire opere educative e di promozione umana e culturale.

Questi impegni, che sembrano superare le nostre capacità in quanto frutto possibile di decisioni a livello delle nazioni e degli stati, hanno come origine però degli atteggiamenti a cui tutti siamo richiamati. In particolare Papa Francesco sottolinea che:

Come diceva S. Giovanni XXIII, la vera pace potrà nascere solo da un cuore disarmato dall’ansia e dalla paura della guerra [Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 61]. Che il 2025 sia un anno in cui cresca la pace! Quella pace vera e duratura, che non si ferma ai cavilli dei contratti o ai tavoli dei compromessi umani [Cfr Momento di preghiera nel decennale dell’“Invocazione per la pace in Terra Santa”, 7 giugno 2024]. (Messaggio nn. 12-13)

E aggiunge:

Il disarmo del cuore è un gesto che coinvolge tutti, dai primi agli ultimi, dai piccoli ai grandi, dai ricchi ai poveri. A volte, basta qualcosa di semplice come «un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito» [Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025 (9 maggio 2024), 18]. Con questi piccoli-grandi gesti, ci avviciniamo alla meta della pace e vi arriveremo più in fretta, quanto più, lungo il cammino accanto ai fratelli e sorelle ritrovati, ci scopriremo già cambiati rispetto a come eravamo partiti. Infatti, la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato].” (Messaggio 14).

         A conclusione di queste parole con cui ho voluto far eco alle parole del Pontefice, mentre vi ringrazio per l’attenzione e per la pazienza, faccio mia la preghiera con cui Papa Francesco conclude il suo messaggio. La leggo in piedi rivolgendola anche come auspicio di bene e di pace per voi e per le comunità e istituzioni di cui siete guide e  rappresentanti, per poi chiedere al Signore la benedizione per voi e i vostri cari:

Rimetti a noi i nostri debiti, Signore,

come noi li rimettiamo ai nostri debitori,

e in questo circolo di perdono concedici la tua pace,

quella pace che solo Tu puoi donare

a chi si lascia disarmare il cuore,

a chi con speranza vuole rimettere i debiti ai propri fratelli,

a chi senza timore confessa di essere tuo debitore,

a chi non resta sordo al grido dei più poveri.

(Messaggio n. 15)

+ Giovanni Paccosi