Uno sguardo al calendario liturgico ci avverte che all’apertura dell’anno, il 17 gennaio, si fa memoria di Antonio Abate, eremita e patriarca del monachesimo, celebre nell’iconografia popolare per esser invariabilmente raffigurato in compagnia di un maialino. Malgrado i consistenti smacchi assestati dalla modernità alle nostre tradizioni, sopravvive ancora l’affetto, soprattutto nelle campagne, per questo carismatico santo la cui immagine rassicurante veniva collocata a presidio delle stalle per proteggere il bestiame.
Ancora oggi, nel giorno della sua festa, non è tramontata l’abitudine d’introdurre nelle chiese gli animali per una benedizione. Partiamo allora proprio da quel maialino, nell’intento di tratteggiare alcuni bozzetti per quella che mi permetto di ribattezzare ‹‹teologia dei nostri fratelli minori››, in pratica una teologia del mondo animale. E dato che per un riconosciuto principio di intertestualità non si dice mai niente di realmente nuovo – esistono infatti sempre maestri o buone letture verso cui essere debitori delle idee che generiamo, fossero anche d’apparente indiscussa originalità – mi traggo subito d’impaccio saldando il mio debito: tutto quanto leggerete è frutto dell’elaborazione concettuale che un raffinato esegeta, nonché persona buona e sensibile, ha prodotto in una vita di riflessioni consegnate in svariati libri. Sto parlando di Paolo De Benedetti, teologo e biblista ebreo, scomparso all’età di 89 anni nel 2016.
Già uno scrittore del calibro di Vittorio Messori si domandava perché tra le molte parole che i vangeli riportano di Gesù non vi sia traccia, anche per rapido inciso, di espressioni di benevolenza verso gli animali. Sarebbe stato un lascito prezioso che li avrebbe messi almeno un po’ al riparo dall’indifferenza, quando non dalla crudeltà, di un uomo che è spesso nei loro confronti dissennato e tiranno.
Ma a pensarci bene, su questo tema il Nuovo Testamento va oltre una semplice e moraleggiante esortazione di rispetto, tessendo invece una complessa trama in cui gli animali sono spesso protagonisti del racconto, anche se in chiave simbolica. All’inizio del dettato giovanneo il Messia è identificato con l’agnello (Gv 1,29) e proprio la simbologia dell’agnello costituisce l’ordito di tutta l’Apocalisse. Come non ricordare poi gli uccelli che non seminano e non mietono, eppure… (Mt 6,26) o il cagnolino della donna cananea, quasi un modello del perfetto orante. Non dimenticando infine che, con il suo sacrificio, l’Agnello di Dio sopprime ogni sacrificio di animali e con esso un seguito storico di inenarrabili sofferenze verso di essi.
Su tutte restano però indimenticabili le parole di San Paolo sulla salvezza cosmica (Rm 8,19) che, per quanto si continui a discutere sul loro autentico significato, sembrerebbero garantire una partecipazione dei nostri “fratelli minori” alla nuova creazione. D’altronde è l’autorità stessa di un Tommaso d’Aquino che assicura come ogni creatura sensibile conoscerà una sorta di gloriosa trasfigurazione finale, mentre sterminata resta nei secoli la rassegna di santi e testimoni della fede che hanno lasciato, magari in una rapida pennellata, parole e folgorazioni sugli animali che hanno quasi la caratura delle ‹‹verità di fede››. Tra tutte piace ricordare le parole di Paolo VI pronunciate nella festa di San Francesco dell’anno 1970: ‹‹Un giorno li rivedremo [gli animali, n.d.r.] collocati nel mistero di Dio››. Facciamo adesso un passo ulteriore e tentiamo di distillare un pensiero più compiuto: occuparsi di teologia degli animali rappresenta un lusso dello spirito? Forse no, e tenterò di provarlo… Tra i misteri del mondo, accanto all’antico mistero della sofferenza del giusto c’è, forse ancora più misterioso, quello della sofferenza degli animali, i quali non hanno voluto essere come Dio, non hanno nella loro natura la capacità della malizia, ma hanno però seguito l’uomo nella sua rovina, continuando a soffrire con lui e da lui. L’animale, se potesse parlare, non potrebbe dire: ‹‹Soffro perché ho peccato››. È un mistero che può parere piccolo soltanto a chi pensa che la nostra fede abbia regolato tutto il suo debito verso gli animali con Francesco d’Assisi. Il problema allora è che, in quanto esseri senzienti, essi possono soffrire. A tal riguardo esiste forse nella nostra riflessione teologica una carenza di pensiero. Gli animali sono stati a lungo vittime del silenzio dei teologi, quando – per dirla proprio con Paolo De Benedetti – la questione della loro sofferenza innocente rappresenta una sfida cruciale per la teologia del futuro.
Costituisce poi una falsa alternativa quella tra cura dell’uomo e cura dell’animale. Questo atteggiamento non soltanto ha spesso impedito una lettura della Scrittura attenta ai segnali di rispetto e solidarietà verso gli animali, ma ha anche incoraggiato quel pregiudizio secondo cui preoccuparsi degli animali significherebbe trascurare gli uomini, come se l’amore verso le creature fosse una coperta troppo corta per coprirle tutte.
Ben altro è invece il sentimento biblico, dove l’uomo è costantemente ricondotto alla sua responsabilità di tutore nei confronti del creato, e dove l’animale è considerato buono, come dichiara il racconto della creazione (Gen 1,20-25). Di più, nell’Antico Testamento si affaccia spesso la tenerezza di Dio verso gli animali. Ricorderò, tra gli infiniti passi che potrei rammentare, il libro di Giona, quando la città di Ninive scampa la punizione che Dio le aveva minacciato, non solo perché Egli gradisce la penitenza dei niniviti, ma anche perché il gran numero di innocenti – bambini e animali – che in essa risiedono, suscita la Sua compassione (Gn 4,11).
Commovente da questo punto di vista il libro di Tobia dove rintracciamo un’immagine che riassume tutto il pensiero biblico sugli animali: ‹‹Il giovane Tobia partì insieme con l’angelo, e anche il cane li seguì e s’avviò con loro›› (Tb 6,1). Un ragazzo, un angelo e un cane, piccola solidale comitiva in cammino secondo il disegno di Dio. E allora, se l’imitazione di Dio consiste nell’assunzione in noi dei suoi tratti e pensieri, proprio alla luce della Bibbia è difficile pensare che un uomo possa manifestare in sé l’immagine divina se non prova compassione anche verso questo genere particolare di “piccoli”. Ma quante volte sono al contrario gli animali a mostrare compassione per l’uomo?
In una bella poesia dello scrittore argentino Borges, il Cristo rievocando la sua vita tra gli uomini, rivela con stupore di aver conosciuto, tra le altre cose, anche ‹‹la misteriosa dedizione dei cani››. Dedizione che spesso noi umani proprio dimentichiamo verso questa particolare categoria della minorità. Ammoniva Elias Canetti: «Guardate negli occhi un cane che sta morendo e vergognatevi di tutta la vostra profonda filosofia». Meditiamoci su… un giorno potrebbe capitarci di scoprire che Dio ci guarda e guarda il mondo anche attraverso quegli occhi.