Sabato 7 e domenica 8 dicembre, don Andrea Cristiani celebra un doppio importante anniversario: il 50° del suo sacerdozio e del Movimento Shalom, da lui fondato per promuovere pace, giustizia e solidarietà. In un’intervista a cuore aperto, il sacerdote ripercorre i momenti più significativi della sua vita: l’incontro con Madre Teresa, l’esperienza in Vaticano, gli anni giovanili a Parigi e il sigillo spirituale di padre Pio. Tra ricordi indelebili e messaggi di grande attualità, emerge l’invito alle nuove generazioni a riscoprire i valori autentici e a impegnarsi per un mondo più umano e fraterno.
Don Andrea, quali ricordi porta con sé del giorno della sua ordinazione sacerdotale avvenuta il 7 dicembre 1974?
«Tutto di quel giorno è registrato in modo indelebile nella mia memoria: rivedo il vescovo Paolo Ghizzoni, rivedo tutti i miei compagni di seminario, rivedo i miei genitori e i miei familiari, gli amici che erano venuti. Fu un tuffo nell’amore umano e nell’amore divino. Ricordo la partecipazione di tanti che oggi sono già nel regno di Dio e che quel giorno erano presenti con emozione. Quel 7 dicembre del 1974, proprio alle quattro del pomeriggio, l’ora in cui Andrea e Giovanni incontrarono Gesù, io Gli dicevo il mio sì per la vita. Davvero tutto è presente in me come fosse, non ieri, ma oggi».
Guardando indietro, per quale aspetto della sua vita sacerdotale si sente maggiormente grato al Signore?
«Direi che tutto è stato straordinariamente bello, ma se dovessi ricordare, tra i tanti, un periodo davvero fecondo e straordinario della mia vita… è stato quello del servizio durato quasi 15 anni in qualità di consultore della Santa Sede presso il dicastero degli operatori sanitari. Ne era presidente il cardinale Fiorenzo Angelini, uomo di eccezionale qualità, che mi ha veramente insegnato ad amare l’umanità e la Chiesa. Un’esperienza che ha marcato in modo significativo la mia visione dell’universalità della Chiesa».
In questi 50 anni, guardando anche al suo intenso impegno missionario, c’è stato un incontro che ha segnato profondamente la sua vita personale e quella sacerdotale?
«Ciò che maggiormente ha inciso in me è stato l’incontro con Madre Teresa di Calcutta. Passammo dei giorni insieme a lei con un bel gruppo di ragazzi, che furono poi i pionieri dello Shalom. Ricordo l’affabilità di questa straordinaria e indimenticabile donna. Lei ci dette delle diritte perché noi le esprimevamo il nostro desiderio di costruire un mondo nuovo, di dedicarci ai giovani, ma non sapevamo da dove partire. Mi ricordo come fosse ora che lei mi guardò e disse: “Semplice… partite dai paesi più poveri al mondo”, e così fu. L’altro incontro che mi ha segnato profondamente avvenne a Roma, dove ero stato invitato per un convegno del dicastero degli operatori sanitari. Erano i tempi di Giovanni Paolo II ed era il giorno della festa di sant’Andrea; il cardinale Angelini mi fece il grande dono di poter incontrare il Papa e di parlare con lui. Ebbi subito la percezione della grandezza e della santità di quest’uomo, che mi emozionò molto… lo porto ancora dentro di me. Naturalmente eravamo già partiti da anni con l’avventura Shalom e Angelini ne parlò al Papa. Il Santo Padre si mostrò molto attento e soddisfatto, alla fine mi disse: “Ecco, queste sono le linee tracciate da Gesù. Continuate!».
Da giovane ha studiato a Parigi durante un periodo di grandi cambiamenti sociali. Cosa ricorda di quegli anni e in che modo l’hanno influenzata?
«Gli anni dei miei studi a Parigi sono stati intensi… Era il ‘68, avevo 18 anni, ero giovane. Fu un periodo di straordinaria euphoria anche per il Concilio Vaticano II che stava inoltrandosi nel mondo con le sue aperture. Ricordo che la nostra era una comunità mista, avevamo la possibilità di uscire, di conoscere la città. Un ricordo bello che mi accompagna è quello delle domeniche pomeriggio nella cattedrale di Notre Dame, dove andavamo per ascoltare gli straordinari concerti d’organo tenuti dal grande organista Pierre Cochereau, un momento che ci caricava di serenità e di gioia. Certo, era un periodo in cui c’erano anche le barricate e la città veniva messa sottosopra. Anche gli studenti erano irrequieti, occupavano le facoltà. Mi ricordo anche io alla Sorbonne intrepido… Quando però poi la faccenda slittò nella violenza, io mi dissociai, dissi no! Questo non fa per me e cominciai a pensare a un qualcosa di nuovo verso cui avvertivo l’attrazione: una vita dove ci fossero dei valori primordiali irrinunciabili, come quelli della tolleranza, del dialogo, dell’amicizia fra le generazioni. Si accese allora in me la scintilla di un impegno nuovo per un mondo davvero alternativo, non fondato sulla violenza, ma che anzi abiurasse primariamente la violenza».
Il Movimento Shalom, che celebra insieme a lei 50 anni di vita, è nato proprio per promuovere la pace, la cooperazione internazionale e i diritti umani. Come furono i primi tempi?
«Shalom nacque proprio al mio rientro da Parigi. Inizialmente si costituirono dei piccoli gruppi. C’erano giovani davvero in gamba, che oggi sono oramai nonni. Le prime scintille furono ispirate dal Vangelo; il nostro desiderio era di porre alla base di tutto l’annuncio della buona novella ai poveri, di impegnarci per le persone ultime. Eravamo anche molto spirituali, ricordo infatti che ci incontravamo sempre per la preghiera, e poi organizzavamo momenti belli di carità. È stata un’epopea carica di entusiasmo, fatta da ragazzi che allora avevano 15-16 anni. Questo è stato il fulcro che ci ha poi portato, progressivamente, a evolverci. Le basi che ci hanno costituiti sono ancora oggi per noi irrinunciabili. Diciamo che nel tempo Dio ha tracciato una strada, ci ha forgiati, ci ha modellati, in modo da portarci ad essere ciò che siamo adesso. I giovani con i quali siamo partiti non sono più le generazioni attuali. Proprio guardando a queste, direi che c’è forse più bisogno di Shalom oggi che non ieri, soprattutto riguardo ai valori, considerando il naufragio della gioventù contemporanea».
Infatti il Movimento ha sempre coinvolto nel tempo i giovani in percorsi educativi e solidali… E qual è oggi il messaggio centrale che vorrebbe far arrivare alle nuove generazioni?
«Alle nuove generazioni vorrei far capire che la cultura che stanno respirando, veicolata attraverso gli smartphone e tutti i mezzi tecnologici che proprio i giovani amano tanto, è così deviante che altera la libertà dei loro pensieri, che li riduce a robot che seguono soltanto i dettami suggeriti sul come vestirsi, parlare e comportarsi… Ecco, vorrei dire loro: siate liberi, perché non è libertà il fare ciò che gli altri vi Il Centro Caritas di Ponsacco intitolato a Giovanna Nannetti suggeriscono, come quando vi affollate per vedere e urlare di fronte a certe star che vi piacciono tanto ma che in realtà trasudano di eroina, che sputano veleno e non vi insegnano la vera strada che conduce alla felicità. Gli direi ancora: siate ricercatori seri di ciò che nella vita vale davvero e non vi lasciate intontire, alterare nei pensieri, schiavizzare da questa mentalità contemporanea dell’indifferenza, della superficialità e del disimpegno. Siate autentici come persone; nella dedizione ai valori che contano troverete la vostra felicità».
La sua giovinezza è stata segnata dall’incontro con Padre Pio, al quale ha servito Messa come chierichetto. Che ricordi ha di quel momento e come si concretizza oggi il suo rapporto spirituale con questo grande santo?
«Tutte le volte che firmo un documento devo fare molta attenzione, perché un po’ distrattamente mi fermo al mio primo nome “Andrea”, ma io mi chiamo “Andrea Pio”, perché in casa mia, a causa di una brutta malattia capitata a mio nonno, erano stati a far visita al frate di Pietrelcina nel Gargano (sto parlando del 1948, due anni prima che io nascessi). Fra mio nonno, la mia famiglia e Padre Pio nacque subito un rapporto stretto di spiritualità e amicizia, un rapporto che poi è continuato nel tempo. Poi, quando avevo 15 anni, mi portarono a fare visita al Padre e ad assistere alla celebrazione della Messa. Quello fu un sigillo che mi confermò che la mia strada sarebbe stata quella di fare il prete; e così è stato e dopo 50 anni eccomi qua che non mi chiamo solo Andrea, ma Andrea Pio, proprio per ricordare questo grande campione di santità».