Riflessioni

La via spirituale della povertà nella Bibbia: gli ‘anawîm

di don Francesco Ricciarelli

Non solo l’aspetto economico: la comprensione cristiana della povertà si basa sul concetto biblico di ‘anawîm. Questa parola, che ricorre 21 volte nell’Antico Testamento, sempre al plurale (eccetto un solo caso), indica letteralmente «chi è curvo», non solo sotto l’oppressione dei prepotenti o sotto il peso della povertà, ma soprattutto nell’atteggiamento di adorazione di Dio. I «poveri di Jahvè» sono infatti coloro che vincono ogni tentazione di superbia, orgoglio e autosufficienza. Questa spiritualità si sviluppò durante l’esilio babilonese e il periodo post-esilico, in una situazione in cui Israele sperimentava la dispersione, la schiavitù, la miseria. Trovandosi in queste condizioni di estrema precarietà, il popolo comprese sempre più l’esigenza di un’apertura totale a Dio, unico rifugio e speranza capace di trascendere la realtà contingente.

Nel libro dei Salmi il Signore è spesso invocato a protezione dei poveri: «Questo povero grida e il Signore lo ascolta», recita il Salmo 34. «Dio si alza per giudicare, per salvare tutti i poveri della terra» (Sal 76). I piccoli, gli umili, costituiscono il vero popolo di Dio e la povertà diventa luogo di incontro con Lui: sulla via della povertà si muovono i passi della fede e dell’abbandono all’amore e alla provvidenza di divina. Mosè è la figura che nell’Antico Testamento viene caratterizzata proprio dall’aggettivo ‘anaw (umile). Racconta il libro dei Numeri che Mosè «era un uomo molto umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra» (Nm 12,3).

Nel Nuovo Testamento, la Vergine Maria è colei che incarna alla perfezione la spiritualità degli ‘anawîm. Sebbene il Vangelo non la descriva mai come materialmente povera, Maria è povera nello spirito, perché accetta la propria piccolezza (tapéinosis) e si affida completamente a Dio. L’episodio dell’Annunciazione ce la presenta come una giovane donna in un villaggio sperduto della Galilea che riceve l’annuncio dell’arcangelo Gabriele e, davanti alla proposta straordinaria di diventare la Madre di Dio, Maria si proclama «serva del Signore» e accoglie il progetto divino, quella missione unica e misteriosa. Nel Magnificat Maria celebra le paradossali scelte di Dio che privilegia gli ultimi, i poveri, rispetto ai ricchi: «Ha guardato alla piccolezza della sua serva, d’orra in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata»; «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili». Il canto di lode si unisce a una proclamazione di fede incrollabile nella giustizia di Dio. Soprattutto ai piedi della croce, Maria manifesta la spiritualità degli ‘anawîm, quando, trafitta dalla spada del dolore, si unisce con fede alla Passione del Figlio. Gesù stesso appare come il Messia dei poveri, consacrato dall’unzione per portare loro la buona novella. Nel discorso della montagna, Gesù richiama la spiritualità degli ‘anawîm quando proclama «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».

La povertà è abbracciata e consacrata da Gesù, fino allo spogliamento totale, soprattutto nella Passione, quando il Signore morente assume su di sé la sofferenza e la preghiera dei poveri di Jahvè.

La Bibbia quindi ci insegna a guardare alla povertà come atteggiamento di fede, di interiore apertura verso Dio e disponibilità a lasciarsi guidare dalla Sua volontà. Ma al tempo stesso ci ricorda che il servizio reso ai più poveri e agli emarginati è la via privilegiata per incontrare il Signore che in essi si identifica. Come Gesù stesso rivela nel discorso sul Giudizio universale: «Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me».

 

L’opzione preferenziale per i poveri

«Cristo stesso, che è Dio, ha spogliato sé stesso, rendendosi simile agli uomini; e non ha scelto una vita di privilegio, ma ha scelto la condizione di servo (cfr Fil 2,6-7). Annientò sé stesso facendosi servo. È nato in una famiglia umile e ha lavorato come artigiano. All’inizio della sua predicazione, ha annunciato che nel Regno di Dio i poveri sono beati (cfr Mt 5,3; Lc 6,20; EG, 197). Stava in mezzo ai malati, ai poveri, agli esclusi, mostrando loro l’amore misericordioso di Dio (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2444). E tante volte è stato giudicato come un uomo impuro perché andava dai malati, dai lebbrosi, che secondo la legge dell’epoca erano impuri. E Lui ha rischiato per essere vicino ai poveri. Per questo, i seguaci di Gesù si riconoscono dalla loro vicinanza ai poveri, ai piccoli, ai malati e ai carcerati, agli esclusi, ai dimenticati, a chi è privo del cibo e dei vestiti (cfr Mt 25,31-36; CCC, 2443). Possiamo leggere quel famoso parametro sul quale saremo giudicati tutti, saremo giudicati tutti. È Matteo, capitolo 25. Questo è un criterio chiave di autenticità cristiana (cfr Gal 2,10; EG, 195). Alcuni pensano, erroneamente, che questo amore preferenziale per i poveri sia un compito per pochi, ma in realtà è la missione di tutta la Chiesa, diceva San Giovanni Paolo II (cfr S. Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 42). «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri» (EG, 187). La fede, la speranza e l’amore necessariamente ci spingono verso questa preferenza per i più bisognosi, che va oltre la pur necessaria assistenza (cfr EG, 198). Implica infatti il camminare assieme, il lasciarci evangelizzare da loro, che conoscono bene Cristo sofferente, il lasciarci “contagiare” dalla loro esperienza della salvezza, dalla loro saggezza e dalla loro creatività (cfr ibid.). Condividere con i poveri significa arricchirci a vicenda. E, se ci sono strutture sociali malate che impediscono loro di sognare per il futuro, dobbiamo lavorare insieme per guarirle, per cambiarle (cfr ibid., 195). E a questo conduce l’amore di Cristo, che ci ha amato fino all’estremo (cfr Gv 13,1) e arriva fino ai confini, ai margini, alle frontiere esistenziali. Portare le periferie al centro significa centrare la nostra vita in Cristo, che “si è fatto povero” per noi, per arricchirci “per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9)».

Papa Francesco, nell’Udienza generale del 19 agosto 2020