Valdarno Musei è il sistema museale istituito nel 2007 con il sostegno della Regione Toscana e la Provincia di Pisa al quale aderiscono i Musei di Castelfranco di Sotto, Montopoli in Valdarno, San Miniato, Santa Maria a Monte e quelli della Diocesi di San Miniato.
Il suo scopo è quello di coordinare e integrare le attività dei musei per renderne più efficace ed incisiva la funzione di educazione, sensibilizzazione e valorizzazione del patrimonio archeologico, storico – artistico e naturalistico delle comunità di riferimento e dei visitatori, nonché la formazione del personale, la promozione e la comunicazione esterna. Con il seminario organizzato lo scorso 24 febbraio al teatro comunale di Castelfranco di Sotto Valdarno Musei ha ritenuto importante approfondire la tematica dell’apertura e avvicinamento ai portatori di handicap ed evidenziare come il mondo culturale possa essere una risorsa anche sociale per il territorio. con un confronto tra i musei del Valdarno, la Società della Salute Empolese Valdarno – Valdelsa, le Amministrazioni Comunali, la Diocesi di San Miniato e le scuole del territorio, per avere un quadro sulla disabilità presente nelle nostre comunità, ascoltarne le esigenze e cercare di offrire alcune risposte e servizi con percorsi museali dedicati.
Dopo i saluti dell’allora sindaco di Castelfranco Gabriele Toti e del vescovo di San Miniato monsignor Giovanni Paccosi, il dottor Doni che ha tratteggiato il sistema che la Società della Salute ha messo in piedi negli anni per i disabili: dalla legge del «Dopo di Noi», che lavora su un progetto pensato per una singola persona e per un lasso di tempo il più lungo possibile, fino a realizzare una co[1]programmazione e co[1]progettazione fra i vari enti che si occupano dei disabili, delle loro famiglie nei contesti in cui vivono. Da questo percorso è emersa l’esigenza di una modifica di approccio nei loro confronti per riuscire a pensare ad un progetto di vita, un progetto a lungo termine. Noi stessi, che facciamo parte di un sistema, dobbiamo migliorare e soprattutto cambiare il linguaggio quando ci rivolgiamo a persone che sanno o non sanno fare le cose, lavorando, in modo particolare, sulla mediazione. La Comunicazione Aumentata Alternativa è una strada da percorrere, rappresenta un’opportunità di accessibilità attraverso simboli comprensivi. Anche il turismo può diventare accessibile e questo è il percorso raccontato dalla dottoressa Cristina Gelli, direttrice dei musei di Empoli e responsabile dei percorsi per l’Alzheimer. Dopo aver vinto un bando PNRR sull’inclusività al museo, sono stati predisposti percorsi cognitivi e sensoriali che i disabili possono affrontare in autonomia e senza la mediazione degli operatori. Il Museo è uno spazio per la comunità, a disposizione di essa. L’esperienza «Museo per l’Alzheimer» Empolese Valdelsa vede 21 musei distanti e diversi fra loro lavorare su un minimo comune denominatore, su progetti condivisi con metodologie comuni e V formazione degli operatori. Il museo spesso è visto e vissuto più come contenitore di opere d’arte che come un luogo inclusivo che deve accogliere e avere accessibilità per tutti. Ogni progetto deve far sì che il patrimonio diventi pretesto per essere fruito e utilizzato. Non hanno, le attività proposte, un fine terapeutico. Gli operatori museali sono affiancati da persone con formazione specifica. Questo programma è nato nel 2015. Il Mudev ha affidato il servizio per l’Alzheimer a Promocultura, ente specializzato nei servizi alla persona. Gli operatori formati realizzano iniziative per tutti gli 11 comuni appartenenti al progetto. La problematica è forse la mobilità tra un museo e l’altro.
Silvia Melani, educatrice geriatrica di RSA e dei servizi Musei per l’Alzheimer, collabora con 3 educatori sanitari e 4 operatrici museali per organizzare proposte per gruppi o per coppie (spesso il malato viene condotto dalla persona che lo segue quotidianamente). La famiglia chiede aiuto per farlo uscire dalla solitudine e dall’isolamento sociale. L’incontro al museo è, in questo senso, un’occasione per conoscere nuove persone, prepararsi ad un appuntamento e costruire maggiori legami con chi lo accompagna alla visita. Il lavoro più grande è stato quello di intercettare le famiglie. Dal 2014 la Regione Toscana ha avviato un percorso che dà valore alla qualità della domiciliarità.
Nei programmi per questi malati, si trovano interventi di assistenza domiciliare, percorsi di riabilitazione ma anche proposte culturali con il progetto «Musei per l’Alzheimer».
L’esperienza museale lavora sulle emozioni che scaturiscono davanti ad un’opera d’arte; raccontare quello che si prova per riuscire a rivelare e comprendere qualcosa di noi. Domande e suggerimenti davanti ad un’immagine invitano alla creatività. Non si recupera certamente la memoria ma si intercettano idee ed emozioni che possono essere espresse senza giudizi. A fine incontro si rileggono e radunano le impressioni dei partecipanti aspetto, questo, di grande importanza.
Cristina Picchi, vicepresidente dell’Istituto Comprensivo di Castelfranco ha ribadito che la scuola pubblica ha, come obbiettivo, il dovere dell’inclusione con pari opportunità formative. Dobbiamo rimuovere gli ostacoli. Importante è formare il gruppo della classe promuovendo la consapevolezza che ogni suo componente è portatore di una ricchezza. Terreno fertile per l’apprendimento è la relazione. Il Progetto «I care» contiene diversi percorsi esperienziali collegati a discipline scolastiche e volto a favorire, in ogni componente – con i docenti che diventano dei facilitatori – la consapevolezza della cura dei ragazzi. Tanti progetti d’ampliamento dell’offerta formativa sono trasversali. La classe edificio viene aperta e diventa bosco didattico, musicoterapia, lingua e biblioteca.
La famiglia continua ad essere l’agenzia educativa prioritaria. L’insegnante di sostegno Elisa Ciulli ha poi ribadito che i progetti per la disabilità sono momenti fondamentali per i ragazzi dove gli operatori esterni che li propongono, diventano per loro nuova occasione di relazione. «Leo nel cuore», psicomotricità, teatralità, pet therapy, musicoterapia, yoga sono esperienze innovative ed importanti.
Gerardo di Fonzo, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo di Castelfiorentino, ci ha raccontato che per avere una scuola veramente inclusiva è necessario partire dai bisogni specifici degli alunni con disabilità. Saper educare e tirar fuori da ciascuno il meglio di sé. Fondamentale è valorizzare ed individuare le potenzialità invece di affrontarne le difficoltà. La scuola deve guardare al benessere di tutti. Figure professionali che agevolano il percorso inclusivo sono i mediatori linguistici. Dobbiamo fare rete con la famiglia, la scuola, il Comune e gli Enti per ottenere dei risultati. La disabilità non può essere vista solo da un punto di vista medico. La criticità di oggi nella scuola è che, per l’inclusività vera, ci sia la preparazione adeguata dei docenti di sostegno. Spesso, invece, sono privi di esperienze e le ore a loro disposizione sono poche. È difficile trasformare il progetto scuola in progetto di vita. Il protocollo d’inclusione prevede che la crescita conduca ad uno sviluppo dell’autonomia. Con il «Dopo di noi» scolastico poniamo le basi perché gli alunni possano proseguire il loro percorso di studi. Tra il primo e il secondo ciclo c’è una buona collaborazione di continuità.
C.A.A. (Comunicazione Aumentata Alternativa) è un approccio che utilizza strumenti come le immagini e i simboli che non sostituiscono il linguaggio verbale ma che lo accompagnano, gli aggiungono qualcosa. La strategia è quella di stimolare anche la comunicazione verbale. Per questo è fondamentale la formazione dei docenti dei tre ordini di scuola. Un esempio da seguire in questo è costituito dagli istituti comprensivi di Prato oppure di Faenza Città in C.A.A.
Il Centro Bruno Ciari ha percorsi avanzati di aggiornamento professionale per l’etichettatura degli ambienti scolastici. Spiegare la storia o l’«Odissea» con la C.A.A., la simbologia dei colori può essere utile per riconoscere persone e ambienti ma anche l’orario settimanale delle lezioni. Con queste strategie i progressi dei ragazzi disabili sono stati notevoli.
A Castelfiorentino c’è un contesto complesso. Il vero salto di qualità sarebbe quello di portare la CAA nelle città e non solo nelle scuole. Nelle scuole la presenza di alunni con disabilità grave porta ad un arricchimento per tutti perché determina la conoscenza e la collaborazione, fondamentali per le competenze civiche.
Molti sono stati gli spunti e le indicazioni da seguire che Valdarno Musei ha appreso da questo confronto in materia di arte e disabilità. Siamo solo all’inizio di un percorso che fa intravedere però l’importanza e la necessità di ampliare l’offerta e il pubblico dei nostri musei per far sì che diventino sempre più parte essenziale delle nostre comunità. Da sottolineare, infine, la grande disponibilità dei relatori a partecipare alla nostra proposta riscontrata durante l’organizzazione che predispone a continuare il percorso di apertura alla disabilità dei nostri poli espositivi.