Una serata emozionante, riflessiva, quella vissuta sabato sera 20 aprile, vigila della 61a Giornata mondiale per le vocazioni, nella chiesa parrocchiale di Palaia, dove l’Ufficio diocesano della Pastorale delle Vocazioni, guidata da don Simone Meini, aveva indetto una Veglia di preghiera.
Sono stati momenti intensi di ascolto, di domande e di risposte all’interrogativo più profondo, in special modo per i giovani: «Chi sono io? Quale è la mia vera vocazione nella vita e quale può essere in questa il mio ruolo?». «Ognuno, ha affermato il vescovo Giovanni nella sua introduzione, ha una vocazione, una chiamata. Non è “vocazione” solo quella a divenire un consacrato quale sacerdote, monaco, frate, suora, ruoli essenziali per la Chiesa di Cristo, ma anche quella di occupare un ruolo nella società civile, nel lavoro, nella famiglia, sentendosi ognuno responsabile della propria funzione». Nell’età giovanile, quando tutto sembra facile da realizzare, non sempre si sente il richiamo autentico della propria vocazione. Si barcolla da un’idea all’altra senza una scelta consapevole che ci renda felici in piena libertà, vivendo in umiltà me da protagonisti, con un costante impegno e zelo nel raggiungere il fine desiderato. «Ognuno nel proprio ruolo si sentirà felice e soddisfatto della propria scelta, ha commentato ancora il vescovo Giovanni, nella consapevolezza che in Gesù ritroviamo la vera e completa realizzazione del nostro operato. Tutto passa – gioie, sofferenze, vittorie, sconfitte – ma se vi è la presenza dell’amore, della speranza in Gesù, rimangono sempre in noi felicità ed entusiasmo per la vita».
Nella diversità dei ruoli emerge la connessione operativa di ognuno di noi che, uniti in una rete comune, siamo indirizzati in un solo punto: all’amore reciproco, a quell’amore infinito U che sgorga dalla testimonianza divina ed umana della Croce.
Non è solo un richiamo cristiano, ma l’essenza della vita per tutti. Afferma papa Francesco nel suo messaggio nella giornata per le vocazioni: «La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni ci invita, ogni anno, a considerare il dono prezioso della chiamata che il Signore rivolge a ciascuno di noi, suo popolo fedele in cammino, perché possiamo prendere parte al suo progetto d’amore e incarnare la bellezza del Vangelo nei diversi stati di vita. Ascoltare la chiamata divina, lungi dall’essere un dovere imposto dall’esterno, magari in nome di un ideale religioso; è invece il modo più sicuro che abbiamo di alimentare il desiderio di felicità che ci portiamo dentro: la nostra vita si realizza e si compie quando scopriamo chi siamo, quali sono le nostre qualità, in quale campo possiamo metterle a frutto, quale strada possiamo percorrere per diventare segno e strumento di amore, di accoglienza, di bellezza e di pace, nei contesti in cui viviamo».
La prima testimonianza della serata è stata di don Maximilien, presbitero della diocesi di Pistoia, un “montanaro” come lui stesso si è definito per la sua azione pastorale di sacerdote che svolge sui monti dell’appennino pistoiese. Ha portato alla conoscenza i suoi primi passi coraggiosi e tenaci per giungere all’ascolto della sua chiamata verso il sacerdozio, dedicandosi all’annuncio del Vangelo «spezzando la propria vita insieme al Pane eucaristico, per i fratelli, seminando, sperando e mostrando a tutti la bellezza del Regno di Dio» come afferma papa Francesco. Ad un certo momento della sua vita don Maximilien si ferma nel suo lavoro giornaliero, si ascolta e giudica la sua sua vita come un susseguirsi di «parole, parole, parole»… In questo gioco di parole trova la sua strada, la sua vocazione, la sua chiamata, la sua libertà, la sua felicità. Le parole non dicono più niente. Quello che sente è riproporre per sé, offrendolo poi agli altri, un modello di vita che vince su tutto, lasciandosi affascinare da Gesù: il sacerdozio.
La testimonianza di fra Francesco, frate minore della Provincia Toscana di San Francesco Stimmatizzato, ci ha fatto a riflettere sulla presunzione che spesso invade la nostra persona: «Io so tutto», quasi da crederci profeti. Anche fra Francesco nella sua gioventù ha ceduto a questa presunzione, ma difronte al Santissimo racchiuso in quell’ostia divina, ha spalancato il suo cuore ed ha ascoltato la sua chiamata. È nella preghiera, nel dono della sua persona a Gesù, che ha sentito il suo cammino di fede aperto, sincero e generoso per divenire un uomo di speranza. Oggi si sente pellegrino di speranza, costruttore di pace, ancorando «la propria esistenza sulla roccia della risurrezione di Cristo». Da questa intensa serata è nato un richiamo al coraggio di mettersi in gioco.
«Rise up! – Alzatevi!».Svegliamoci dal sonno, usciamo dall’indifferenza, apriamo le sbarre della prigione in cui a volte ci siamo rinchiusi, perché ciascuno di noi possa scoprire la propria vocazione nella Chiesa e nel mondo e diventare pellegrino di speranza e artefice di pace! Appassioniamoci alla vita e impegniamoci nella cura amorevole di coloro che ci stanno accanto e dell’ambiente che abitiamo. Don Oreste Benzi, un infaticabile apostolo della carità, sempre dalla parte degli ultimi e degli indifesi, ripeteva che nessuno è così povero da non aver qualcosa da dare, e nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere qualcosa. Alziamoci, dunque, e mettiamoci in cammino come pellegrini di speranza, perché, come Maria fece con Elisabetta, anche noi possiamo portare annunci di gioia, generare vita nuova ed essere artigiani di fraternità e di pace.