Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia», questo il tema del primo incontro di formazione che il vescovo Giovanni ha tenuto lo scorso 26 ottobre a Capanne. Ha preso così avvio un percorso rivolto a tutta la diocesi per comprendere come tradurre nella vita concreta delle nostre comunità le indicazioni che papa Francesco ha dato al Convegno ecclesiale di Firenze del 2015: l’esigenza di mettersi in cammino, di fare Chiesa insieme, di essere una Chiesa aperta a tutti, di cercare di generare vita e alimentare gioia, di raccogliere le inquietudini del nostro tempo, portarle davanti a Dio e immergerle nel Mistero della Pasqua.
Nella sua riflessione, il vescovo è partito da una definizione che papa Francesco ha dato del cristiano nella Evangelii gaudium: «discepolo missionario». La missionarietà riguarda tutti i battezzati, chiamati ad essere corresponsabili del compito di annunciare Gesù a tutti. Un compito che i laici sono chiamati a vivere a partire dal proprio ambiente quotidiano di vita: dalla famiglia, dal lavoro, dal rapporto coi propri vicini. Non si è «discepoli missionari» solo in certi momenti, o svolgendo le attività necessarie in parrocchia, ma prima di tutto lo si è dove si realizza lo specifico della propria vocazione. L’impulso impresso dal Papa alla sinodalità e alla missionarietà era stato, in qualche modo, anticipato negli orientamenti che la Chiesa italiana si era data per il primo decennio degli anni 2000, all’indomani del grande Giubileo. Nella nota pastorale «Comunicare il vangelo in un mondo che cambia», emergeva l’esigenza di passare da una pastorale della conservazione dell’esistente a una pastorale missionaria. Esigenza approfondita ulteriormente nel documento del 2004 che aveva appunto per titolo «I «Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia».
Monsignor Paccosi ha enucleato le linee di fondo di quel documento di 19 anni fa e ancora molto attuale. La prima è la scelta dello stile dell’evangelizzazione, teso a comunicare la fede come qualcosa di bello e affascinante. Non si tratta, infatti, anzitutto di correggere o di «fare la morale». Come mostra l’icona evangelica di Zaccheo, è dall’incontro con il fascino di Gesù che scaturisce la volontà di cambiare. La riflessione morale nasce dalla fede e non viceversa. Il documento del 2004 indicava poi l’esigenza di «ridefinire la parrocchia»: tutti i battezzati appartengono ad essa, senza esclusioni, e al suo interno ci si fa carico anche di tutti gli altri abitanti del territorio. La parrocchia è mandata a tutti. In questa prospettiva, la ridefinizione va realizzata in una dinamica sinergica: sinergia tra parrocchia e diocesi, tra parrocchia e parrocchie, tra parrocchia e territorio.
Innanzitutto, ha sottolineato il vescovo, ciò che si fa in diocesi non è una cosa estranea alla parrocchia o in concorrenza con essa. Ci sono, anzi, dei livelli della pastorale che non si possono più portare avanti solo a livello parrocchiale. Un esempio è quello dei giovani. Il vescovo ha ricordato a questo proposito l’esperienza che 70 ragazzi della nostra diocesi hanno fatto alla Gmg di Lisbona e il loro stupore nel condividere il loro vissuto con un milione e mezzo di coetanei da tutto il mondo. La collaborazione tra parrocchie è divenuta sempre più un’esigenza, ad esempio, nell’ambito della catechesi, di certi momenti di formazione e di incontro. Qui la dimensione parrocchiale può trovare un valido aiuto nella cooperazione con le parrocchie vicine. Anche la collaborazione con le altre agenzie educative e caritative del territorio è diventata un’esigenza imprescindibile. In tutto questo, il centro della vita della parrocchia dal volto missionario rimane l’Eucarestia. La Messa domenicale è il centro che unifica tutto, in cui tutti sono partecipi e possono sentirsi a casa. La parrocchia esprime nella celebrazione dell’Eucarestia quella Chiesa di popolo in cui tutti hanno la stessa dignità e sono coinvolti.
Altre sottolineature presenti nel documento del 2004 sono la riscoperta della domenica come giorno del Signore, della famiglia e della comunità e la valorizzazione dell’aspetto caritativo, come dimensione essenziale della parrocchia. A partire da queste indicazioni è possibile, ha notato il vescovo, sviluppare le forme missionarie già presenti nella pastorale ordinaria, talvolta in forma latente. La pastorale ordinaria non va intesa, infatti, come semplice conservazione dell’esistente ma va anch’essa orientata nella prospettiva missionaria.
Facendo riferimento al Cammino sinodale, di cui stiamo per intraprendere la seconda fase, il vescovo ha infine ricordato che, come nella Pentecoste, lo Spirito Santo a smuove, crea “disordine” per poi ricreare ordine e armonia. Sta a noi percepire l’urgenza di metterci in gioco, sentirci lanciati personalmente nella missione, perché sia lo Spirito Santo a far emergere qualcosa di nuovo.