(Is 25, 6-10; Sal 22; Fil 4, 12-14.19-20; Mt 22,1-14.)
Gesù dice questa parabola per spiegare che cos’è il Regno dei cieli. Il Regno dei cieli che cos’è? Un Regno sopra le nubi? No, il Regno dei cieli è un po’ quello si che diceva nel dialogo di prima; quando siamo qui è come se si fosse in un altro mondo, tutto il mondo perde importanza. Qualcuno che ha detto: quando sono tornato dalla GMG certe cose di cui avevo bisogno non ne sento più il bisogno, e cominciavo a sentir bisogno di altre di cui prima non mi rendevo conto. Cioè il Regno dei cieli vuol dire che Gesù regna dentro di noi, perché il Regno dei cieli non è un luogo, ma una condizione, cioè uno che riconosce la signoria di Gesù nella propria vita, riconosce cioè che Lui è tutto. Questo che cosa produce? Produce la percezione di stare come a un livello più profondo e più vero della realtà, per cui cambia il modo con cui diamo valore alle cose. Tra l’altro uno dei segni di questo, delle verità di questa esperienza, è proprio quello che avete detto tutti voi: “mi sentivo a casa!” Non avete fatto caso che nel Salmo abbiamo detto proprio lo stesso: «Abiterò per sempre nella casa del Signore». La casa del Signore è dove ci sentiamo noi stessi, e quando accade questo ci sentiamo a casa, e tutto il mondo lo possiamo perciò sentire casa, perché ne vediamo il significato, che è Gesù.
Gesù per spiegare narra di un banchetto di nozze, una gran festa e vi sono invitati. E voi, se pensate alla parabola di Gesù, fra quale di queste due categorie di invitati vi mettete: tra i primi invitati o i secondi? Penso che tutti ci collochiamo tra i secondi, tra quelli raccattati ai crocicchi delle strade, cattivi e buoni. In effetti, se fossimo fra i primi sarebbe ben triste, vorrebbe dire che noi siamo di quelli che pur sapendo di essere chiamati da Gesù a vivere una festa nella vita, gli diciamo che abbiamo qualcos’altro di importante da fare. Ieri parlando ai bambini dicevo loro: quando voi fate la festa del vostro compleanno e i vostri genitori preparano tutto, e poi voi invitate tutti i vostri amici, se poi per la festa non viene nessuno dei vostri amici, come ci rimanete? Ecco quello di cui parla Gesù… e poi c’è tutta una lettura teologica su questo discorso di Gesù, ma non importa andare ora ad approfondire le questioni storiche e teologiche…
Gesù, Dio ci chiama a vivere la vita intera come una festa, cioè come un luogo di gioia, di pienezza e noi gli diciamo: “no, ho qualcosa di più importante da fare…” Non credo noi siamo di questi, siamo degli altri, di quelli che stavano ai crocicchi delle strade e inaspettatamente Lui è venuto a chiamarci, ha mandato i suoi servi a chiamare ognuno di noi. Perché tutti siamo qui per l’invito di uno, per l’amicizia di una persona, per la testimonianza di qualcuno e siamo venuti a questa casa, qui, dove ci sentiamo a casa, facciamo l’esperienza che prima diversi di voi hanno raccontato, cioè qui viviamo un pezzetto di mondo nuovo. Quando viviamo delle esperienze come quelle che avete raccontato, sembra quasi che cada, sparisca, una specie di velo, di nebbia, con cui normalmente vediamo le cose. Improvvisamente le vediamo più nitide, più vere, più intense. Ci accorgiamo delle cose: chi è stato a Scampia si accorge dell’ingiustizia, ma anche della capacità di ricostruire. Chi è andato in Terra Santa vede questo mondo così contraddittorio in cui siamo, vede la divisione ma vede anche le suore che danno la vita per dei bambini disabili, e così via.
Noi molto spesso rimaniamo in quella nebbia che ci sentire interesse solo per poche cose, viviamo come confusi. C’è un racconto di un grande scrittore inglese C. S. Lewis, di cui forse avete letto “Le cronache di Narnia”, in cui narra di uno che cammina per la strada, e a un certo punto urta involontariamente una ragazza. Da quel momento vede tutto nebbioso; e poi però passa davanti ad una vetrina dove ci sono dei vestiti e delle borse e vede tutto nebbioso, e nitidi solo i vestiti e le borse; poi vede passare un ragazzo, un bel ragazzo aitante e lo vede nitidissimo, e tutto il resto invece resta confuso. Si rende conto (è la chiave del racconto) che da quell’urto, in modo inspiegabile, ha cominciato a vedere con gli occhi della ragazza che aveva urtato, che nella nebbia della distanza da tutto, percepiva solo quelle poche cose che gli interessavano.
Noi a volte facciamo così: sappiamo del mondo, della realtà, solo quelle poche cose che per qualche ragione molto epidermica ci interessano. Invece quando noi stiamo nella “casa” che è il Regno di Dio, è come se ci cadesse un velo dagli occhi e percepiamo la realtà come fosse più vera, più consistente, più densa. È un segno: siamo chiamati a un’intensità, a una pienezza di vita, per cui – come diceva un’altra di voi – uno non si accontenta più di ritornare nella nebbia da cui emerge solo qualche cosa ogni tanto, perché ha visto, abbiamo visto, che c’è nel mondo la casa in cui siamo più noi stessi, ela realtà è più nitida e intensa, l’abbiamo visto.
Quando uno ha visto quel milione e mezzo di persone, di ragazzi a Lisbona, ha visto quel momento in cui fu messo il Santissimo sull’altare e improvvisamente si creò il silenzio di un milione e mezzo di ragazzi. Lì uno si domanda: cosa può generare una coscienza così grande nell’istante che si vive, quando siamo sempre di solito distratti? È Lui, Gesù. Anzi bisogna dire: “Sei tu Gesù, sei tu, sei tu che mi permetti di vivere intensamente”. Questa è la festa di nozze a cui siamo stati chiamati, non per merito nostro, ma perché Gesù ha una passione così grande per ognuno di noi, che vuole che viviamo intensamente e vuole che ci rendiamo conto che questa vita vissuta intensamente è solo l’inizio di qualcosa che si compirà, in modo incredibilmente più grande ancora, nel regno dei cieli.
Questa è la strada a cui siamo chiamati, questa è l’esperienza che ci fa sentire a casa in ogni parte del mondo, che ci fa sentire amici con persone di cui vediamo gli occhi per la prima volta, ma in quegli occhi riconosciamo che c’è Lui, che c’è la Sua presenza.
A questa cosa, a cui siamo stati chiamati per grazia, dobbiamo chiamare tutti, dobbiamo chiamare tutti a questa casa, tutti quelli a cui vogliamo bene – e io spero che tutti noi desideriamo voler bene a tutte le persone che abbiamo accanto, a tutte le persone che come voi cercano di qua e di là una pienezza di vita. Noi abbiamo visto dove si trova e perciò ne diventiamo responsabili.
Ne siamo testimoni per il fatto di avere quella veste bianca, la veste della festa, che indossa chi è nella casa dove c’è la festa di nozze di Gesù, e non c’è bisogno di fare chissà cosa, ci viene donata! Al tempo di Gesù la veste nuziale la davano all’ingresso agli invitati, quindi questo qui che non ce l’ha, è perché se l’è tolta, l’ha buttata via. Ecco, l’unica cosa che potremmo fare è buttar via la veste nuziale che il Signore ci ha messo addosso.
Ma siccome questo non lo vogliamo fare, chiediamo che invece ci mantenga in questa casa, in questa strada in cui ogni giorno possiamo fare esperienza più profonda e più grande, anche nella normalità dei nostri gruppi parrocchiali, delle nostre realtà quotidiane. Se lo desideriamo e se l’amicizia che viviamo la viviamo a questo livello, crescerà lì la bellezza che nei mesi estivi molti di noi hanno visto e che il Signore promette a tutti coloro che lo accolgono. Che davvero anche noi possiamo dire… Avete sentito San Paolo che cosa bellissima?! Sono allenato a tutto e posso vivere nella povertà e anche nell’abbondanza, sono allenato alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. “Tutto posso in colui che mi da la forza”. Tutto posso in te, Gesù.
+ Giovanni Paccosi