«È apparsa la grazia di Dio», scrive San Paolo a Tito, che era stato suo discepolo, e questo dialogo fra il maestro e il discepolo ci invita a non smettere mai di stupirci di ciò che ci è stato annunciato, che abbiamo ricevuto nel nostro Battesimo, nella nostra educazione cristiana, nell’incontro con Gesù, che attraverso le persone che ce lo hanno comunicato, si è fatto vicino ad ognuno di noi.
Dobbiamo tornare a quel moto di stupore che prende, riconoscendo che cosa vuol dire ciò che celebriamo stanotte, cioè che Dio ha avuto così pietà, ha sentito tanta tenerezza verso la nostra povertà, la miseria che cerchiamo tante volte di nascondere, di truccare, ma che nella nostra coscienza conosciamo bene. Noi rimarremmo, riconoscendola, sgomenti, nel vuoto. Vediamo come ci resta facile cercare di nascondere questa indigenza e riempire il vuoto della nostra esistenza con tante cose, per non avere il tempo di pensarci, per non dover riconoscere l’estremo bisogno di cui siamo costituiti.
Invece stanotte dobbiamo guardare a Gesù, a quel piccolo bambino nella mangiatoia di Betlemme. Se lo guardiamo, allora possiamo guardare in faccia anche il nostro essere bisognosi, perché il nostro bisogno solo Lui può riempirlo.
Il mistero del Natale è proprio questo: non è una questione moralistica, di cose che dobbiamo fare, ma è una questione morale, nel senso più profondo, al livello da cui nasce qualunque atteggiamento che noi possiamo prendere nella vita.
Che cosa fa sì che davanti a un giorno che inizia lo possiamo cominciare nella gratitudine e nel desiderio di convertirci, oppure nella stanchezza o nell’illusione di poter appropriarci delle cose, degli altri, essere padroni di noi stessi? Che cosa ci fa cambiare lo sguardo, ci fa iniziare la giornata con il desiderio di amare, se non il riconoscimento di essere amati in modo infinito?
Per Maria, per Giuseppe, per i pastori, per i Magi, guardare Gesù non fu – e non è – solamente la tenerezza che nasce nel vedere quel bambino indifeso, ma per loro, e così fu poi per gli apostoli quando lo incontrarono, e per tutte le generazioni che l’hanno fatto arrivare fino a noi, Gesù è diventato il centro della vita.
La sua presenza è la presenza di Dio tra noi. Dio resterebbe così inaccessibile a noi, così infinitamente misterioso, che non possiamo capirne niente. Anzi, bisogna stare attenti quando, parlando di Dio, ci sembra di conoscerlo, perché forse è un Dio che abbiamo già ridotto i nostri misure. Certo, poi succedono fatti nella vita che ristabiliscono le misure, e magari ci ribelliamo ma siamo costretti a riconoscere la grandezza di Dio, come è diverso il suo pensiero, e ci rendiamo conto che non possiamo certo noi imporre a Dio come deve agire e come deve fare.
Quando ci rendiamo conto della sconvolgente grandezza di Dio e pensiamo che Lui è voluto venire tra di noi, rimanere tra di noi, la Sua presenza diventa il punto intorno al quale si ordina tutta la vita. Ricordate San Paolo quando dice: «non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”»? Quando uno ha scoperto, ha conosciuto chi è Gesù, non può continuare a vivere come se non ci fosse.
Quando a noi sembra, ed è anche questo è un segno da non sottovalutare, che la vita con Gesù o senza di lui, nella dimenticanza di lui, scorra uguale, e non ne sentiamo la necessità, forse è perché non ci rendiamo conto di noi stessi e di chi è Cristo per noi. Invece dobbiamo lasciarci invadere da questa Presenza che ci trasforma e ci rende noi stessi, perché siamo fatti per Lui, come diceva Sant’Agostino, e il nostro cuore riposa solo in Lui. Diventiamo noi stessi solo quando lasciamo che il Suo amore invada la nostra vita.
Questo è anche il nostro compito. In questo mondo un po’ alla deriva il nostro compito è indicare Colui che salva e rende vera e lieta la vita, Colui che porta la pace. Potremmo dire: “Come, porta la pace? Ci sono cinquantasei guerre in questo momento nel mondo. Dove? Sulle nostre strade la violenza cresce e si accresce la disparità nella vita delle persone e davanti a ricchi esageratamente ricchi i poveri sono sempre più poveri. Dove si vede sorgere questa pace? Si vede là dove viene accolto.
Noi siamo chiamati ad essere questo segno. Lo siamo. Lo siamo anche al di là di quanto se ne rendiamo conto. Lo siamo perché senza Cristo non si potrebbe spiegare tutta l’onda di bene che continua a espandersi nella nostra società, che porta tanti a dare la propria vita per gli altri. Non si potrebbe spiegare la bellezza creata dalle generazioni che ci hanno preceduto. La pace che Cristo porta in tanti modi è visibile in chi lo accoglie.
Questo è il nostro compito: esserne testimoni. È ciò che impegna di più la nostra vita perché una volta che hai conosciuto Cristo sei chiamato a vivere per Lui, ma nello stesso tempo è anche la cosa più dolce che ci sia, perché Lui ci rende noi stessi, e quanto più lo lasciamo entrare, lasciamo che la sua parola, il suo volto, il suo amore entrino in noi, tanto più diventiamo noi stessi e ci troviamo perciò lieti.
La gioia inizia così, come una letizia di fondo, che rimane anche in mezzo alle difficoltà, perché non è una letizia che nasce da noi stessi, dal realizzarsi di ciò che vogliamo noi. La letizia cristiana è invece la gioia di essere amati da un altro. È proprio la gioia che annunciavano gli angeli e che sperimentarono i pastori. È Lui, Cristo, che la genera, perché è lui che continua ad amarci. Torno a citare una frase che ho sentito pronunciare al patriarca di Gerusalemme, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa quando, parlando del compito dei cristiani in Terrasanta, diceva: «Noi non possiamo far altro che costruire la pace, non per strategia, ma perché la pace che riceviamo continuamente da Cristo, non possiamo fare altro che testimoniarla e desiderare di comunicarla».
La pace, la vita vera, l’amore, rapporti nuovi di accoglienza, di rispetto, di amore al bene dell’altro non possono sorgere solo da noi stessi, ma continuano a sgorgare in noi se ci lasciamo invadere da questa luce che è entrata nel mondo duemila anni fa e che è la luce che può salvare. oggi come duemila anni fa, la vita di ognuno di noi e del mondo intero.

