Cammino Sinodale

Una nuova mentalità

di don Angelo Falchi

Un piccolo contributo a quanto avvenuto mercoledì scorso a S. Croce nella seconda assemblea diocesana sul cammino sinodale. Questa assemblea era necessaria, dopo quella dei Vescovi in novembre. Di tutto il lavoro che per tre anni ha interessato tutta la chiesa italiana, parrocchie, associazioni, movimenti, arricchito e completato dal carisma episcopale negli ultimi anni, era ben giusto che la comunità diocesana fosse informata e potesse confrontarsi sulle linee principali emerse da questa assemblea in vista del lavoro della Commissione dei sei vescovi, che hanno il compito di produrre un documento che marcherà il cammino della chiesa italiana almeno dei prossimi dieci anni. È una grossa sfida quella che grava sulle spalle di questa commissione. Dovranno, questi sei vescovi, tener ben presente la condizione del nostro mondo, le esigenze del Vangelo e le modalità da usare per la nuova evangelizzazione in un contesto post-cristiano.

Nel complesso quadro di questo cammino sinodale, a fronte di un nuovo modo di porsi di fronte ai problemi, si incontrano anche molti ostacoli di varia natura e comunque di non facile soluzione. Uno è il rapporto tra numero di parrocchie e numero di sacerdoti in servizio; un altro è il rapporto tra sacerdote e comunità dei fedeli. Provo a precisare il mio pensiero su ambedue i versanti. Quanto al rapporto numero parrocchie e numero preti, stando che nella nostra diocesi, nessuno si sta preparando ad essere sacerdote (seminario vuoto), significa che nell’ipotesi migliore fino al 2032 il Vescovo potrà tenere le mani in tasca, ma non le imporrà sulla testa di alcuno. Nel frattempo, anche se sorella morte fosse così benevola da andare in ferie, tutti noi preti di oggi saremo più vecchi e malconci.

Come servire le parrocchie? Nel 2030 solo una decina di preti avranno una sola parrocchia (quelle più grandi; gli altri preti ne avranno tre, quattro, cinque per uno. Già ora in diverse diocesi alcuni preti hanno una decina di parrocchie da servire. Come fare? L’idea che prende piede è quella dell’accorpamento delle parrocchie. Parola di difficile comprensione, dentro la quale ci può stare tutto e il contrario di tutto. Non potrà essere un’unica grande parrocchia, perché ogni comunità ha la sua storia, la sua fisionomia, le sue tradizioni, il suo passo. Una «Comunità di parrocchie»? Forse sarebbe migliore. Avrebbe un respiro più vicino a quello della famiglia, dove i figli sono diversi, ma ognuno si sente legato nel bene e nel male agli altri membri della famiglia; una diversità armonica e armoniosa, in cui gli stessi genitori si sentono importanti per il ruolo che svolgono e i figli tutti si sentono valorizzati per le doti e risorse che possiedono.

C’è il problema del peso amministrativo: un prete che ha sei/sette parrocchie, attualmente ha altrettanti bilanci a cui badare, sette conti correnti da gestire, sette registri di ogni settore da completare e via dicendo! Ma se si cammina insieme (sinodalmente), chi impedisce di tendere piano piano (non dall’oggi al domani e con un colpo di mano!) ad una amministrazione unica, da mettere in mano a gente competente e responsabile? Ecco il secondo aspetto, il rapporto tra sacerdote e comunità. La gente va informata e formata, facendo vedere i vantaggi di un’amministrazione centralizzata e meglio ancora unificata. E trasparente! Che paura dobbiamo avere a far conoscere i conti parrocchiali alla gente? Sono i loro soldi! I preti hanno il loro sostentamento. I soldi che vengono dalla comunità non sono del prete, sono della comunità e per i servizi che eroga e per le strutture che possiede! Ecco che qui ci vuole una nuova mentalità, sia nei preti che nei fedeli. Nei preti, massima trasparenza e rispetto della legalità; nei fedeli, grande collaborazione e spirito di fraterna collaborazione tra le varie parrocchie in campo amministrativo: si deve arrivare ad un portafoglio unico per tutta la «Comunità di parrocchie», tra le quali il sentimento dominante deve essere quello della comunione, anche dei beni materiali, proprio come in una famiglia. Entrate ed uscite comuni; sentire i problemi degli altri come propri. Passare dall’io al noi; dal mio al nostro. Faticoso, ma profondamente cristiano e ricco di soddisfazioni.