Uno dei quattro verbi cari a Papa Francesco, attorno ai quali ruota il Messaggio per la prossima Giornata del Migrante e del Rifugiato il 24 settembre, è il verbo integrare; gli altri sono: accogliere, proteggere, promuovere. Sono quattro verbi che danno le coordinate per un approccio soddisfacente con tutti i migranti, cioè con chi è diverso da noi e si trova a vivere per vari motivi sul nostro territorio. Su questo verbo integrare e sugli atteggiamenti che lo esplicano si è detto tanto, in positivo e spesso in negativo. E soprattutto si è passati alla sostituzione del significato di questo verbo sul piano operativo, pensando che integrazione voglia dire omogeneizzazione.
Proviamo a ragionare per vedere di capire meglio. Integrare vuol dire creare un “integrum”, un tutto armonico. Ciò comporta che ognuno con le risorse che possiede si mette insieme ad altri che hanno risorse diverse per far «funzionare il meccanismo».Prendiamo un qualsiasi apparecchio, sia un orologio o un motore. Gli ingranaggi non sono tutti uguali, ma uno diverso dall’altro per misura, per spessore, per dentatura. Ma l’ingegnere che costruisce il meccanismo sa come collocare ogni pezzo diverso perchè alla fine l’intero meccanismo funzioni perfettamente. Così nella società. In qualunque società occorre non guardare con sospetto alle diversità, ma alla funzione che siamo chiamati a svolgere, perchè dal buon funzionamento di quell’incarico, di quel ruolo, dipende il buon andamento di tutto il comparto. E scendendo a qualche particolare, occorre precisare che le diversità che esistono (personali, culturali, attitudinali, lavorative, religiose) non sono facilmente superabili (e forse non devono essere superate!) ma vanno tenute di conto nel contesto del funzionamento generale del gruppo e della società. Va da sé, poi, il fatto che ogni persona ha diritto di esprimere se stessa in modo corretto e non lesivo dei diritti degli altri; ha il dirittto di vedere apprezzate le sue capacità; come pure ha il dovere di concorrere al buon funzionamento del gruppo sociale in cui è inserita. In questo modo integrare non significa cancellare le caratteristiche proprie di una persona o di un popolo, ma valorizzarle e armonizzarle con quelle del popolo accogliente in modo che le differenze, come spesso si è detto e ripetuto, non siano di ostacolo alla crescita comune, bensì una facilitazione.
Tutto questo richiede pazienza, rispetto, ricerca del bene comune, senso dell’humour, sapersi porre spesso nei panni dell’altro con le difficoltà che l’altro prova nel capire, nel farsi capire, nell’esprimersi e nel trovarsi in un mondo, in una cultura, spesso così diversa da quella nativa. Occorre amore e tempo. Due cose che spesso mancano a noi occidentali, molto più inclini all’individualismo che all’altruismo; con il tempo che non basta mai per fare tutto quello che vorremmo. Ma, attenzione: anticipare il parto non sempre è una buona soluzione!