Nello spettacolo di Alex Cendron presentato al Festival del Dramma Popolare, la storia dimenticata dei giovani cattolici che vissero in clandestinità lo scautismo dopo le soppressioni fasciste e che nei giorni bui della Repubblica di Salò portarono in salvo migliaia di perseguitati.
«Di storie belle, tragiche e incredibili è pieno il mondo, e forse non basteranno i secoli dei secoli per scovarle e raccontarle tutte». Pensavo a questo al termine di “Aquile randagie”, spettacolo andato in scena lo scorso 30 giugno a San Miniato. Quell’infinito moltiplicatore e accumulatore di fatti che è stato il secondo conflitto mondiale cela ancora tante vicende da scoprire e far conoscere, come la storia delle «Aquile randagie». Una storia toccante, commovente, eroica, che ricorda quella dei grandi eroi silenti che fecero baluginare il loro impegno come un doveroso servizio all’umanità in quei sei anni di follia bellica: Schindler, Perlasca, Winton, ecc.
«Aquile randagie» (sottotitolo: «Credere, disobbedire, resistere») è un testo scritto da Alex Cendron e da lui recitato, solo in scena a orchestrare le fila di una vicenda lunga quasi 17 anni: il 9 aprile 1928 Mussolini firma il decreto che dichiara la soppressione totale dello scautismo in Italia. A Milano tutte le 27 squadriglie scout della città, loro malgrado, depongono le loro insegne nelle mani del cardinale Ildefonso Schuster (ma non del regime)… tutte meno una: quella che diventerà appunto la squadriglia delle «Aquile randagie», una manciata di giovani (non più di venti in tutto) di età compresa tra gli 11 e i 17 anni, capitanate dal 24enne Giulio Cesare Uccellini, detto “Kelly”. Inizierà così per loro un lungo periodo di attività clandestina, una vera e propria resistenza giovanile durata esattamente 16 anni, 10 mesi e 29 giorni, dal 27 maggio 1928 al 25 aprile 1945. Il loro motto divenne: «Resistere un giorno in più del fascismo», e alla fine ebbero ragione. Fu grazie a questi giovani che la fiamma dello scautismo in Italia non si spense; e il loro coraggio e le loro azioni, spesso temerarie, li fecero crescere alla svelta trasformandoli in giovani uomini di pace. Dopo l’8 settembre ‘43 divennero promotori di un gruppo di aiuto per ricercati ebrei, perseguitati politici e renitenti alla leva, che sotto l’acronimo di “Oscar” – Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati – salverà oltre duemila persone dalle grinfie del drago nazi-fascista. Già… il drago… sulla metafora archetipica della lotta tra drago e cavaliere, dove il cavaliere è san Giorgio, il patrono degli scout, è costruita la filigrana dello spettacolo.
La storia è molto articolata, piena di dettagli e informazioni. Quasi un teatro d’inchiesta storica. L’abilità di Cendron è quella di tenere insieme una narrativa complessa senza mai un cedimento o una caduta di tensione; e i diversi applausi a scena aperta testimoniano la sua abilità nel magnetizzare l’attenzione del pubblico. Bellissimi gli effetti visivi proiettati su una vela trasparente che taglia il proscenio in trasversale. Notevole la cura ai dettagli d’epoca, come le scritte in font vintage, le foto d’antan selezionate con cura, i filmati effettati o le musiche d’epoca. A un certo punto del racconto s’innesta poi la vicenda commovente del piccolo Gabriele e della sua famiglia ebreo-ariana. Siamo a Milano nel dicembre del ‘43, e in un incalzare di cambi scena, si va dal loro tentativo di espatrio in Svizzera, all’arresto da parte della polizia fascista. Le «Aquile randagie», venute per caso a sapere delle traversie di questi transfughi, e prevedendo un loro rapido trasferimento ai campi di sterminio, si attivano: prima faranno in modo, con uno stratagemma, di far ricoverare il piccolo in ospedale, simulando una sua appendicite, poi riusciranno a “rapirlo” dall’ospedale, eludendo la sorveglianza della milizia fascista che piantonava il piccolo giorno e notte. Era il 21 dicembre 1943, solstizio d’inverno, «il giorno più freddo e più buio dell’anno – recita Cendron -, ma anche l’attimo in cui finalmente la luce inizia la sua rimonta quando sembrava che le tenebre avessero vinto per sempre. Una leggenda narra che è proprio in questa notte che il santo cavaliere sconfisse il drago».