È domenica, oggi 26 ottobre, e appena tornato dall’Assemblea Sinodale di ieri a Roma, ho passato la mattina – come quasi sempre – correndo da una comunità all’altra della mia diocesi di periferia. Nella Chiesa di San Miniato non ci sono città grandi, non ci sono Università, non c’è nemmeno il carcere, ci sono industrie e agricoltura, luoghi meravigliosi e povertà crescente.
Una giornata speciale
La prima Messa, alle 7:00, nello scampanio per lo scoprimento del SS. Crocifisso di San Miniato, con il Sindaco presente e con molti fedeli (quasi nessuno giovane). Commovente per la sua semplicità, in quell’andare a baciare i piedi di un Crocifisso miracoloso venerato da sette secoli, portando ognuno le sue pene e le sue richieste. Poi a Capannoli accolto dal suono delle campane: una chiesa grandissima piena di gente, un coro di giovani potente, 35 cresime ad altrettanti adolescenti e, pur nell’inevitabile formalismo delle cerimonie, una partecipazione forte. Quando ho chiesto, nell’invocazione allo Spirito, di pregare in silenzio per quei ragazzi, il silenzio c’è stato davvero, intenso, pieno. Lo Spirito era lì.
Una Chiesa viva
L’ultima celebrazione della mattina in un’Unità pastorale, che inizia un proprio Giubileo, per celebrare sette anni di cammino insieme. Anche qui campane a festa, un coro coinvolgente, bambini, giovani, famiglie, anziani, religiose. Presente la signora Sindaca che, salutandomi, mi ha detto la sua commozione, per una celebrazione in cui si respirava gioia e speranza. Perché questo resoconto? Perché questa è la Chiesa che conosco, la Chiesa che si scopre debole, ma che vive, e che ha bisogno dell’essenziale, di vedere e toccare che la vita con Cristo è più umana e più bella. Questa è la Chiesa concreta che nei primi due anni del Cammino Sinodale abbiamo ascoltato, e che ha chiesto che viviamo la missione con uno stile di prossimità, che si curi la formazione, in particolare degli adulti, che ha chiesto di vivere una reale corresponsabilità nella costruzione della Chiesa.
Il documento sinodale
Il documento che ieri abbiamo votato ne è un frutto, ma un frutto ancora embrionale. Ho sentito in più punti la forzatura di far diventare richiesta di tutti ciò che era solo di pochi e la difficoltà di chi doveva votare, senza ormai poter più far distinzioni, articoli in cui c’erano, tutte insieme, proposte non omogenee e – è una mia valutazione – tendenziose. Il Cammino Sinodale ci ha rilanciato nella missione e nella vicinanza a «tutti, tutti, tutti», come ci diceva Papa Francesco. Ma l’apertura senza limiti (cattolica) non era per Papa Francesco senza criteri chiari. Invece nel nostro documento sinodale ci sono alcune espressioni che ritengo ambigue: proprio quelle che adesso sono sulla bocca di tutti. Sul punto controverso dell’accoglienza delle persone omosessuali, per esempio, si aggiunge all’accoglienza auspicata il «riconoscimento». Ma «riconoscere» non è sinonimo di «accogliere»: ho ascoltato io, come tanti con me (lo disse per esempio a noi nuovi vescovi nel settembre 2023 dove parlava proprio di questo tema) Papa Francesco affermare che la Chiesa accoglie tutti, ma non accetta che si portino “bandiere”, altrimenti si scade in una rivendicazione ideologica.
Il cammino della Chiesa
Scrivo queste righe perché il Cammino Sinodale mi sta a cuore e perché credo fermamente che la sinodalità sia la strada della Chiesa, come del resto Papa Leone ha ripetuto varie volte in questi mesi e in questi giorni. Non possiamo ridurlo alle controversie su questi punti particolari che non sono pacifici, e che inoltre che non scaldano granché la vita quotidiana delle comunità che conosco. Esse si rianimano quando si fa esperienza non di documenti o di programmi pastorali, ma della presenza misteriosa e concreta di Cristo. Allora rinasce la comunione, la corresponsabilità, l’accoglienza. Il rischio è che si perda la cosa fondamentale che il Cammino di questi anni ci ha insegnato: ad ascoltare lo Spirito nell’ascolto dell’altro, a condividere le responsabilità, a metterci in gioco personalmente nella testimonianza e nella costruzione della Chiesa.
L’impegno di una comunità
Mercoledì 29 nella mia diocesi faremo un’assemblea diocesana per comunicare a tutti il passo che il cammino di questi anni e l’incontro di ieri a Roma ci ha consegnato. Quello su cui metterò l’accento non saranno certo quei pochi articoli a mio parere inadeguati: sarà invece la bellezza della partecipazione da incrementare e a cui dare carne concreta, la spinta a ravvivare la nostra presenza umile, da poveri, in mezzo ai poveri (Che bellezza la “Dilexit te”!) e l’impegno per formarci insieme nella vita della comunità: è in essa che Cristo si fa visibile, come stamani nelle celebrazioni di paese della mia diocesi «di periferia».
Fonte: Il suono della domenica. Dopo l’Assemblea Sinodale – In Terris

