Nicola Gentili, 42 anni, originario di Massarella, vive a Orentano con sua moglie Veronica e con i tre figli di 5, 11 e 12 anni. Nel giorno che la Chiesa dedica alla festa liturgica degli Angeli custodi – questo sabato 2 ottobre – verrà ordinato diacono in Cattedrale da monsignor Migliavacca. Siamo andati a conoscerlo per ascoltare da vicino la sua testimonianza e per farci raccontare nei particolari il cammino che lo ha portato fino al diaconato.
Nicola, quali sono state le figure che maggiormente hanno influito sul tuo percorso umano e cristiano?
«Partirei innanzitutto col dirti dei miei nonni paterni, con i quali vivevo, che sono stati decisivi per la mia crescita umana. Da loro ho imparato schiettezza e genuinità. Nella mia formazione cristiana e spirituale determinante è stato poi il parroco con cui sono cresciuto a Massarella, don Ferdinando Santonocito, che mi ha insegnato a portare la concretezza della fede nei gesti e nelle azioni quotidiane. In lui ho potuto vedere “il fare”, il creare, l’ingegnarsi per rendere viva una comunità cristiana. L’esperienza poi del coro parrocchiale, del presepe vivente, le recite e il carnevale in oratorio, come i campeggi e i campi scuola hanno creato in me radici sempre più solide. Parlando della mia vita in parrocchia, mi piace anche ricordare i molti anni in cui ho svolto il servizio di chierichetto al seguito di don Ferdinando in battesimi, matrimoni, funerali… un’esperienza che mi ha palesato in modo cristallino come la Chiesa sia Madre nell’accompagnare e sostenere la vita dell’uomo in ogni momento, soprattutto nei suoi snodi essenziali. Ventenne ho poi potuto conoscere il Rinnovamento nello Spirito, che mi ha fatto riscoprire da una prospettiva diversa la preghiera e dove ho sperimentato in profondità il perdono di Dio nella mia vita».
E come e quando è arrivata la chiamata particolare al ministero ordinato?
«La chiamata non è arrivata tutta in una volta ma, potrei dire, “a piccole dosi”. Ho sempre avuto un rapporto molto particolare con Gesù. Da piccolo vivevo in campagna e non avevo amici che abitavano vicino alla mia casa, quindi quando al catechismo in parrocchia mi veniva detto: “Gesù è il tuo amico più prezioso”, prendevo molto sul serio queste parole, immaginando davvero che Lui fosse sempre lì con me, ad accompagnarmi nelle mie giornate spesso di solitudine. Nell’adolescenza poi ho avuto anche modo di scontrarmi col Signore: facevo fatica a trovare una fidanzata, non accettavo parti di me, e chiedevo al Signore il perché di tutto questo… Poi un giorno, mentre pregavo nella mia camera, ho sentito chiara nel cuore questa voce: “Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me”. Da lì è cambiato tutto. Lì ho capito che dovevo mettere al primo posto Dio e che tutto il testo sarebbe arrivato di conseguenza. Di lì a poco, infatti, è arrivata Veronica, che nel 2005 è diventata mia moglie. Ora faccio un passetto avanti: nel 2009 io e Veronica abbiamo partecipato a un pellegrinaggio in Terra Santa organizzato dalla Pastorale Giovanile di San Miniato. Durante un momento di profondo raccoglimento e preghiera nel Getsemani ho vissuto un’esperienza di percezione forte dell’amore di Gesù e di intimità con Lui. Allora, sotto la guida di monsignor Fausto Tardelli e del mio direttore spirituale, ho iniziato seriamente a riflettete e pregare per capire cosa il Signore mi stesse davvero chiedendo. Poco dopo sono iniziati gli studi teologici a Firenze insieme a mia moglie e, nello stesso frangente, il vescovo Fausto ci ha chiesto come famiglia di prestare servizio nella parrocchiale di Galleno-Pinete e Querce, ed in modo particolare al Santuario della Madonna della Querce. È in quel luogo – che conoscevo fin dall’adolescenza -, sotto lo sguardo della Madonna, che ho capito che Gesù mi chiamava al diaconato permanente».
“Diaconia” in greco significa “servizio”, come desideri declinare il tuo servizio all’interno della Chiesa?
«Non ci tengo a fare un decalogo del servizio ma a dichiararmi pronto a servire in ogni momento. Quindi, oltre alle faccende pratiche che attengono alla parrocchia – catechismo, organizzazione pratica della liturgia e della Parola, cura dell’Adorazione eucaristica perpetua a Le Capanne, ecc. – per me il servizio si fa quotidianamente senza programmazione particolare. Ritengo che sia servizio anche il tempo offerto a una persona anziana che ti chiede di parlare con lei. Vorrei davvero portare Gesù là dove non è. Testimoniare Gesù dove qualcuno lo ha dimenticato o rifiutato».
Sei sposato con tre figli. Come ha vissuto (e sta vivendo) la tua famiglia questa scelta di servizio nella Chiesa?
«I miei figli sono tutto sommato ancora piccoli. In linea di massima non so quanto abbiano chiaro cosa il babbo diventerà con l’ordinazione diaconale. Sicuramente hanno desiderio di accompagnarmi in questo cammino. Normalmente fanno già servizio con me all’altare durante la Messa. La vocazione diaconale, quando arriva da sposati, s’innesta in un’altra vocazione che è quella alla famiglia. Sicuramente non si può creare competizione o conflitto tra i due stati. La mia prima vocazione è quella al matrimonio. Non farò mai niente che possa ostacolare o mettere in crisi il mio matrimonio, perché se va in crisi questo va crisi anche il diaconato. Ci sono ovviamente delle paure: crescere tre figli piccoli, occuparsi della famiglia, portare avanti una professione e servire la Chiesa significa che anche alla mia famiglia è chiesto un impegno non da poco. Ma noi abbiamo creduto fin dall’inizio che questo diaconato sia una grazia per crescere proprio come famiglia e per essere testimoni in un mondo in cui la famiglia è sempre più minacciata».
A chi va il tuo pensiero in questa occasione particolare?
«Per la mia ordinazione ho invitato molte persone; diverse di queste sono lontane dalla Chiesa. Spero che la celebrazione diventi motivo per loro di riscoperta della fede. Che il Signore possa davvero scuoterle. E per questo ho desiderato che a cantare alla liturgia fosse la comunità Magnificat del Rinnovamento, in cui mi sono formato. Una liturgia quindi di evangelizzazione. Per il mio santino ricordo ho scelto l’immagine di un Gesù che abbraccia, che sostiene alle spalle, un uomo che è anche il suo carnefice perché ha in mano un martello e un chiodo. Gesù, nonostante il nostro peccato, resta con noi per dirci che non ci abbandona. E questo è un segno che mi sento di lasciare a tutte quelle persone che non si sentono degne, che non si sentono amate».