ll cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, è stato il relatore d’eccezione dell’annuale Due Giorni del Clero svoltasi lo scorso 14 e 15 giugno presso l’ex convento di San Francesco a San Miniato.
Oggetto della relazione una riflessione sul tema della fraternità universale a partire dall’enciclica «Fratelli tutti» di papa Francesco. Il punto di partenza è stata una lettura del tempo in cui viviamo, segnato dalla pandemia che «ha mostrato impietosamente tutte le nostre debolezze ma anche le nostre grandezze».
E specialmente della fraternità abbiamo un enorme bisogno per uscire dalla crisi, non per tornare indietro, dove eravamo – che sarebbe frustrante e inutile – ma per cambiare veramente.
Al di là delle parole d’ordine abusate, come «sinodalità» e «sinodo» che possono anche venire a noia – «bisogna essere casti anche nelle parole» ha sottolineato l’arcivescovo di Bologna – la fraternità va vissuta: la fraternità, secondo l’intuizione di papa Francesco, «la viviamo aiutandoci a camminare insieme, a pensarci insieme. Non possiamo andare in ordine sparso». La pandemia è, in questa prospettiva, un segno dei tempi. Sappiamo che non possiamo continuare come prima, vorremmo avere un programma chiaro, definito, che risponda alle difficoltà che stiamo vivendo, ma questo non c’è. C’è un mondo che è cambiato, la cristianità è tramontata e di fronte a questa situazione dobbiamo evitare le due tentazioni opposte: quella di pensare che possiamo far finta di niente e proseguire come si è sempre fatto e dall’altra il massimalismo, l’idea di dover cambiare tutto; in fin dei conti per non cambiare niente e per non compiere scelte indispensabili per il futuro.
«Fratelli tutti», ha notato il cardinale, è una sistematizzazione di molti temi diversi (ad esempio, la pena di morte, la pace, l’ambiente), non affrontati teologicamente ma riproposti con la preoccupazione di stabilire una «grammatica comune» con tutti, frutto della sensibilità personale di papa Francesco, del Concilio, dello spirito di Assisi e dell’incontro del 1986 con tutti i rappresentanti delle religioni. Non a caso lo spunto dell’enciclica è stato dato dall’incontro del papa col rettore dell’università del Cairo, Al Tayyeb, e la firma della dichiarazione sulla fratellanza universale di Abu Dhabi. La crisi pandemica, l’aver riscoperto il limite la fragilità, ci ha resi necessariamente più socievoli.
«Da un punto di vista pastorale questo ci apre uno spazio enorme di vicinanza – ha suggerito il cardinale Zuppi – e a partire da questo possiamo ritrovare le parole della fede, evitando il paternalismo». Non è un caso che papa Francesco usi lo stesso linguaggio della gente: ricordiamo l’espressione comune «siamo sulla stessa barca» per interpretare la situazione della pandemia. «Non c’è l’io senza l’altro» è questa la chiave di lettura generale dell’enciclica proposta dal cardinal Zuppi al clero sanminiatese. E al di là delle critiche di chi contrappone a questo approccio il primato dell’evangelizzazione e della conservazione del patrimonio identitario cristiano, ha ribadito, è proprio nel tentativo di misurarsi col mondo, di dialogare e trovare punti d’incontro con tutti, che è presente la comunicazione del Vangelo, l’evangelizzazione dei lontani. Già Paolo VI diceva in proposito una cosa bellissima: i lontani chiedono, con la loro lontananza, una Chiesa più vicina al Vangelo.