L’incontro di monsignor Migliavacca con i giornalisti per la consegna del messaggio del Papa «Vieni e vedi. Comunicare incontrando le persone dove e come sono», divulgato in occasione della 55a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
l mondo dell’informazione, in questo tempo di pandemia, ha svolto un ruolo essenziale, di collegamento, impedendo alle nostre comunità di sfaldarsi: in un mondo sempre più spaventato dal distanziamento imposto dalle contingenze sanitarie, la circolazione delle notizie ha permesso alle persone di sentirsi “vicine”, prossime e solidali. Sta in queste parole il senso della riflessione che il vescovo Andrea ha offerto agli operatori della comunicazione convenuti mercoledì 10 febbraio nell’antico refettorio del Seminario per la consegna del messaggio che il Papa scrive ogni anno in occasione della festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, giorno in cui si celebra anche la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, giunta in questo 2021 alla sua 55ma edizione.
La meditazione e gli spunti di monsignor Migliavacca sono stati intessuti proprio attorno al testo del Santo Padre che quest’anno aveva come titolo «Vieni e vedi (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono». Uno scritto breve, ma di straordinaria puntualità che ci dice una volta di più della grande capacità che ha il Pontefice di entrare nel vivo delle tematiche che avviluppano le nostre società, arrivando a toccarne i nervi più scoperti.
Nella premessa al suo intervento il vescovo ha anche desiderato esprimere gratitudine verso gli operatori della comunicazione, ringraziando in particolare la stampa locale per l’impegno profuso proprio nei mesi difficili della pandemia: «Noto sempre da parte vostra grande attenzione nei confronti della vita della Chiesa diocesana, e quindi voglio dirvi il mio grazie per il lavoro che fate, per la disponibilità che avete e l’impegno che ci mettete. La vostra è autentica arte di costruire la I comunità». Monsignor Migliavacca ha poi sottolineato come in questo anno pandemico il ruolo dei giornalisti sia stato decisivo innanzitutto per informare, e poi per formare. Il comunicare le notizie infatti è servito talvolta anche per sensibilizzare l’opinione pubblica, aiutando a comprendere certe situazioni e innalzando il livello di consapevolezza su certe emergenze: «Questo vuol dire rendere un servizio a una comunità che è chiamata a camminare unita. Con il vostro lavoro avete inoltre contribuito a fare rete: in un momento in cui abbiamo avuto limitazioni a incontrare gli altri, la comunicazione giornalistica ha consentito di saperci vivi, attivi e presenti».
Venendo più strettamente al messaggio del Papa, il vescovo ha poi rilevato come sia «singolare che il Santo Padre scelga proprio il tema dell’incontrare – sottolineato anche nel titolo – in un frangente storico che sembra invece limitare questa possibilità». Si tratta di una puntualizzazione con la quale Francesco ha voluto rimarcare che è proprio a questo livello che si colloca il servizio prezioso offerto dalla stampa alla società. Il Papa si è rifatto all’esperienza richiamata dal brano all’inizio del vangelo di Giovanni, dove Natanaele è invitato da Filippo ad andare a vedere Gesù. Il tema dell’«andare e vedere» accompagna in filigrana tutto l’inizio del testo giovanneo come avventura del credente in ricerca; lo stesso messaggio cristiano si è diffuso nella storia con questa dinamica, attraverso cioè una logica di incontri, una logica imperniata sull’andare a vedere storie di vita. «Se noi parliamo di comunicazione in questa luce – ha detto il vescovo -, l’esperienza della comunicazione non è più semplicemente un trasmettere la notizia, ma diventa vivere e far vivere un’esperienza. E una comunicazione intesa come esperienza, significa innanzitutto che il racconto di un fatto, di una storia, è inevitabilmente segnato dall’esperienza di chi la comunica», quindi dalla forma mentis del giornalista (o del narratore) e anche – se vogliamo – dalla selezione dei vocaboli e degli aggettivi che utilizzerà per raccontarla.
Monsignor Migliavacca si è poi soffermato su un secondo passaggio: «Per chi fa la professione di giornalista, “andare e vedere” è anche lo stimolo a passare dal livello del dispaccio di agenzia, rilanciato in modo pedissequo, al diventare in prima persona “cercatori” di storie di vita». Un rapido sguardo ai giornali di oggi fa infatti percepire come una gran parte delle notizie che circolano, siano in realtà comunicati riprodotti in serie con, più o meno, poche varianti. Il Papa sembra invece stimolare gli operatori della comunicazione a diventare investigatori, quasi “archeologi” della notizia, aiutando le storie belle e buone ad affiorare ed emergere. Un atteggiamento che presuppone però il lasciare la scrivania per presidiare il territorio. A questo proposito, scrive Francesco: «La crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più “consumare le suole delle scarpe”, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni. Se non ci apriamo all’incontro, rimaniamo spettatori esterni, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno la capacità di metterci davanti a una realtà aumentata nella quale ci sembra di essere immersi».
Il vescovo ha poi affrontato un terzo aspetto che il «vieni e vedi» richiama, e che pertiene alla necessità dell’incontro, sottolineando come a livello terminologico sia stato equivoco l’uso che il mainstream media ha fatto dell’espressione “distanziamento sociale”: «In realtà – ha detto monsignor Migliavacca – non ci è mai stato chiesto, e non è mai stato necessario, un distanziamento sociale. Siamo semmai stati invitati a un distanziamento fisico, che è cosa ben diversa. Porto solo l’esempio dei giovani di Caritas young che a Ponsacco e San Miniato Basso hanno lavorato su più fronti; nei mesi di lockdown svolgevano un servizio, attenti a mantenere il distanziamento fisico tra di loro e con gli utenti; ma hanno fatto esattamente il contrario di ciò che s’intende per distanziamento sociale. Sono invece andati incontro a un bisogno della comunità. Quindi hanno vissuto un’esperienza di prossimità sociale».
C’è poi un ulteriore aspetto su cui il vescovo Andrea ha invitato a riflettere: nel tempo della pandemia il «vieni e vedi» è stato I tenuto vivo anche dal mondo dei social, il cui massiccio utilizzo ci ha ragguagliato sul bisogno d’incontro e sulla necessità che abbiamo di sentirci parte di una comunità. I social espongono, però, inevitabilmente anche a dei rischi: comunicando in modo “corsaro” chiunque può atteggiarsi a “giornalista” senza il benché minimo criterio deontologico. Quello della comunicazione è un terreno scivoloso, dove con poco si possono produrre anche grossi danni. Tutto questo fa però parte della sfida dell’incontro che i social permettono e anche come Chiesa non possiamo esimerci dall’essere presenti su questo territorio, che ci chiama semmai a documentare i luoghi particolari della povertà e degli esclusi. «Credo che questo essere presenti – ha affermato in proposito il vescovo – sia da leggere anche come un grande appello rivolto alla stampa a essere voce degli invisibili. Invisibili che è possibile trovare solo se il giornalista si fa cercatore di storie, di volti, di situazioni». Un ultimo punto ha poi affrontato monsignor Migliavacca in ordine all’attenzione necessaria per discernere la verità: «Il messaggio del Papa di tre anni fa parlava delle fake news. Stare nel web significa anche avere il coraggio di verificare la verità. Un rischio che caratterizza il reperire informazioni online credo risieda infatti nel fare zapping di notizie», un atteggiamento che non aiuta ad approfondire e verificare la correttezza dell’informazione. Il «vieni e vedi» a cui fa riferimento Francesco è al contrario un invito a non rimanere nella superficie, ma ad andare con pazienza e impegno in profondità, arrivando in questo modo a partecipare positivamente e in prima persona del racconto di un evento.