Riflessioni

San Giovanni Bosco e la passione educativa

di Antonio Baroncini

Don Giovanni Bosco, padre e maestro, si dedicò completamente all’educazione e formazione della gioventù. All’età di nove anni fece un sogno premonitore di quella che sarebbe stata la sua missione di vita: l’Oratorio, luogo dove si sperimenta l’amore; il sistema preventivo nell’educazione della gioventù; il segreto per divenire santi. Il 31 gennaio 1888, moriva a Torino don Giovanni Bosco ed ogni anno, in questo giorno, la Chiesa ce lo ripropone nella sua santità di padre e di maestro, ammirando in lui «uno splendido accordo di natura e di grazia».

«Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù… Realmente non ebbe a cuore altro che le anime!». Così don Rua, il suo primo successore, enunciò la grandezza spirituale e la forza umana nella sua azione di costruttore per attuare, concretamente, il suo sogno: aiutare e proteggere la gioventù in special modo quei ragazzi abbandonati nella povertà di quel tempo.

Giovanni Bosco nacque in una famiglia contadina ai Becchi, una frazione di D Castelnuovo d’Asti (ora Castelnuovo Don Bosco) il 16 agosto 1815. Il padre, Francesco, che aveva sposato in seconde nozze Margherita Occhiena, morì quando lui aveva due anni e in casa non mancarono certo le difficoltà. A nove anni, Giovanni fece un sogno che gli svelò la missione a cui lo chiamava il Signore: si trovò in mezzo a dei ragazzi che bestemmiavano, urlavano e litigavano e mentre lui si avventava contro di loro con pugni e calci per farli desistere. Vide davanti a sé un uomo dal volto luminosissimo che gli disse: «Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici». Il 25 ottobre 1835, a vent’anni entrò nel seminario di Chieri rimanendovi sei anni e il 5 giugno 1841 fu ordinato sacerdote. In quello stesso anno cominciò il suo apostolato facendo amicizia con un giovane muratore, Bartolomeo Garelli, che era stato maltrattato dal sacrista perché non sapeva servire la messa. Don Bosco gli fece recitare un’Ave Maria e lo invitò a tornare da lui con i suoi amici. Nacque così l’Oratorio. Don Bosco lo chiamò, per lungo tempo, con una parola semplice e diretta: catechismo.

Per il «santo dei giovani» l’Oratorio voleva essere il luogo dove i giovani e i ragazzi, spesso lasciati al proprio destino e drammaticamente a rischio, potessero trovare dei padri che si prendevano a cuore la salvezza dei figli. In un clima di autentica famiglia: luogo dove ci si accoglie, ci si stima, ci si difende, ci si aiuta a crescere insieme, ci si ama, ci si perdona, ci si orienta con passione. «Amate le cose che amano i giovani», ripeteva ai suoi educatori».

Ed ecco la funzione dell’oratorio, in cui i momenti di gioco e di svago (nelle case salesiane non può mancare lo sport, la ricreazione movimentata e chiassosa), insieme al teatro, alla musica, all’animazione, soddisfano saldamente l’interezza giovanile. Tutto il pensiero, tutto l’operato educatore e formativo di don Bosco era rivolta ad offrire, nell’aiuto ai giovani, la possibilità di giungere alla santità. Il suo allievo San Domenico Savio, rivolto a San Giovanni Bosco, gli chiese: «Qual è il segreto per diventare santi?». La sua risposta fu: «Quando tua mamma fa una torta, usa una ricetta che indica i vari ingredienti da mescolare: lo zucchero, la farina, le uova, il lievito… Anche per farsi santi ci vuole una ricetta, e io te la voglio regalare. È formata da tre ingredienti che bisogna mescolare insieme. Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace non piace al Signore. Caccialo via. Secondo: i tuoi doveri di studio e di preghiera. Attenzione a scuola, impegno nello studio, pregare volentieri quando sei invitato a farlo. Terzo: far del bene agli altri. Aiuta i tuoi compagni quando ne hanno bisogno, anche se ti costa un po’ di disturbo e di fatica. La ricetta della santità è tutta qui».