L'esperienza della Chiesa Cattolica

Che cosa possono fare le comunità cristiane per la cura del creato?

di Simone Morandini

L’emergenza della pandemia che ha investito così pesantemente

l’Italia ha segnato come un’interruzione, evidenziando

tante aporie della nostra forma di vita e sollecitando ad

un ripensamento del nostro essere e del nostro agire. Ha pure

evidenziato la centralità dell’impegno per la cura del creato: lo

stesso papa Francesco nella preghiera del 27 marzo ha ricordato

che questa emergenza nasce anche da un “pianeta malato”,

perché davvero “tutto è connesso”. D’altra parte, nell’esortazione

Querida Amazonia, egli invitava a coltivare un

“sogno ecologico”: “la Chiesa, con la sua lunga esperienza spirituale,

con la sua rinnovata consapevolezza circa il valore del

creato, con la sua preoccupazione per la giustizia, con la sua

scelta per gli ultimi, con la sua tradizione educativa e con la

sua storia di incarnazione in culture tanto diverse del mondo

intero, desidera a sua volta offrire il proprio contributo alla cura

e alla crescita dell’Amazzonia” (n. 60) e della Terra tutta.

Ma a quali livelli potrà dispiegarsi tale impegno

per una comunità – che si tratti di una parrocchia, di una diocesi,

di una comunità religiosa, di un’associazione/movimento

o di altra realtà? Mi pare che ve ne siano almeno cinque: essi

andranno sottolineati in modo più incisivo nel Tempo del

Creato, ma interessano in effetti la vita della comunità in ogni

tempo.

  1. Il Vangelo della creazione

Le nostre comunità sono prima di tutto luoghi

di formazione, alla fede ed al suo vissuto; essenziale, dunque,

esplicitare il forte legame di tali realtà con la cura della terra.

La catechesi, la formazione degli adulti, la stessa liturgia (la

15a Giornata per la custodia del creato – 1° settembre 2020 19

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predicazione, ma non solo) sono ambiti preziosi per introdurre

a quel “Vangelo della creazione” cui rimanda il II capitolo dell’enciclica

Laudato si’. L’esperienza credente custodisce profonde

radici spirituali per un amore efficace per la terra e i suoi

abitanti, per la promozione di un’autentica “conversione ecologica”

(LS n. 216) e la formazione di custodi della casa comune.

  1. Camminare in novità di vita

Una prima dimensione in cui una conversione

ecologica troverà espressione è il rinnovamento degli stili di

vita, nella varietà delle loro dimensioni (LS n. 211). Un’intelligente

sobrietà è da sempre parte di una spiritualità credente

ed alcune realtà (lo scoutismo, il mondo francescano o le Caritas,

per fare tre esempi) lo testimoniano particolarmente. Ora

siamo chiamati a valorizzarla in modo più ampio e diffuso,

esplicitandone le valenze ecologiche, nella formazione di

bambini/e e ragazzi/e, ma anche nella pastorale familiare. Le

scelte di consumo che facciamo (acqua, cibo, abbigliamento…)

non hanno solo un loro diretto impatto, ma costituiscono

anche segnali con cui testimoniamo ad altri il nostro amore

per la terra.

  1. Comunità sostenibili

Anche per questo nessuna azione formativa

può essere efficace se non si accompagna a pratiche di rinnovamento

della vita comunitaria e della sua organizzazione. Si

tratterà, ad esempio, di evitare l’uso di materiali usa-e-getta

negli eventi organizzati (feste, sagre, pasti in comune…), ma

anche di individuare forme sostenibili per l’uso dell’acqua, per

il riscaldamento e l’illuminazione degli spazi comunitari. Uno

stile di vita attento alla casa comune ha bisogno anche di

un’intelligente creatività e ogni comunità ha probabilmente al

suo interno chi può offrire utili suggerimenti in tal senso. L’impegno

è particolarmente urgente per quelle comunità cui sono

affidati beni ambientalmente rilevanti, di cui dovranno curare

ad un tempo la valorizzazione e la custodia.

  1. Sentinelle sul territorio

La capillare presenza delle comunità cristiane

sul territorio conferisce loro anche una responsabilità per le

trasformazioni che lo investono. Essenziale, dunque, la vigilanza

nei confronti di progetti che appaiano problematici e

delle diverse forme di degrado che incombono sulle nostre terre:

in diversi casi occorrerà alzare coraggiosamente la voce.

Certo, saranno scelte da fare con saggezza, senza cedere a facili

allarmismi. Occorrerà attenzione per le analisi di chi dispone

di competenze specifiche e per i diversi soggetti coinvolti;

occorrerà promuovere e favorire puntuali processi di discernimento.

  1. Immaginare futuro

Le nostre comunità sono anche luoghi di incontro,

di approfondimento, di pensiero. Luoghi in cui occorre trovare

anche il tempo per comprendere e attivare quella responsabilità

per il futuro della casa comune che ci interessa in

quanto credenti e cittadini; per dialogare su di essa cogliendone

le implicazioni. C’è una dimensione ecologica del bene

comune e dell’etica civile, un’utopia sostenibile che va coltivata,

anche nel sentire delle nostre comunità.

Cinque aspetti possono sembrare tanti, ma forse

in realtà non esauriscono neppure la sfida. Se essere custodi

della casa comune significa “lasciar emergere le conseguenze

dell’incontro con Gesù nelle relazioni col mondo” (LS

  1. 217), tale realtà ci interpella a trecentosessanta gradi. Proprio

per questo l’impegno personale dovrà raccordarsi con la

corresponsabilità delle comunità: “ai problemi sociali si risponde

con reti comunitarie” (LS n. 219).