Ci lasciamo alle spalle un anno indubitabilmente difficile. Non occorre richiamarne qui le contingenze più drammatiche. Da molte parti si avverte semmai l’esigenza di ascoltare, ora più che mai, voci di speranza piuttosto che profezie di sventura. Con questo spirito abbiamo incontrato il vescovo Andrea, per ascoltarne le risposte nella tradizionale intervista che il nostro settimanale rivolge all’ordinario diocesano in occasione dell’avvio del nuovo anno pastorale.
Eccellenza, veniamo da mesi impegnativi; l’emergenza sanitaria con il carico di sofferenze che ha generato si è portata a ruota anche un’emergenza economica che rischia di deflagrare in modo incontrollato nell’autunno ormai alle porte. Ce ne sono avvisaglie anche qui in diocesi, nelle aree a maggior vocazione produttiva, dove molte aziende rischiano di trasformare la cassa integrazione in licenziamenti. Che cosa coglie nel panorama che si offre a uno sguardo attento e quali segnali di speranza intravede?
«La Chiesa di San Miniato ha sempre avuto un rapporto di speciale vicinanza nei confronti del comparto produttivo del nostro territorio. Per cui osservo con attenzione e preoccupazione la situazione, e ne colgo tutti i segnali di crisi. Credo che per il futuro immediato conterà molto la competenza e la preparazione del nostro mondo imprenditoriale. Occorrerà affrontare questa fase facendo leva sulle grandi risorse di intelligenza che i nostri imprenditori in tante occasioni hanno saputo mettere in campo. D’altra parte non abbiamo alternative a un impegno serio e onesto per superare la crisi. C’è in gioco il futuro di tanti lavoratori e delle loro famiglie. L’augurio è allora che complessivamente la situazione migliori, e che da parte dello Stato arrivino gli aiuti e i sussidi necessari, non lesinando risorse. Per quanto ci riguarda, ritengo importante che la nostra Chiesa resti radicata sul territorio, parlo soprattutto delle parrocchie che devono diventare sempre più capaci di vicinanza nei confronti del mondo del lavoro. Come comunità cristiane ci è chiesto di servire, di trasformarci in sentinelle capaci di intercettare il disagio offrendo risposte concrete. In tutto questo non bisogna poi smarrire mai la speranza».
E a tal riguardo, che tipo di vicinanza e solidarietà sono ancora in grado di assicurare le comunità cristiane ai nostri territori?
«Mi viene ad esempio in mente la Caritas diocesana, che ha recentemente approntato un fondo economico di emergenza per rispondere a quelle situazioni di bisogno lavorativo delle famiglie. Risorse in cui sono confluite anche le offerte personali dei preti. Questo fondo di emergenza mi pare un primo elemento di risposta e di vicinanza della nostra Chiesa ai territori. Poi, la stessa Caritas si sta organizzando per dare anche risposte più “strutturali” e meno emergenziali. Penso per esempio all’Emporio della solidarietà che s’inaugura questo 14 settembre a Santa Croce e che sarà il primo di quattro previsti in diocesi. Vorrei poi sottolineare, alla luce della tua domanda, anche il coinvolgimento di tanti giovani nell’esperienza di distribuzione dei pacchi alimentari. Giovani che ritroviamo anche in movimenti come Shalom e Azione cattolica o nelle parrocchie e che s’impegnano in un servizio di vicinanza alle loro comunità che commuove. Siamo insomma in presenza di un agire a tutto campo, da parte di tanti soggetti, che è anche annuncio cristiano».
Guardando più da vicino alle nostre realtà ecclesiali, col ritorno da maggio a una certa normalità liturgica, abbiamo osservato come intere categorie di persone non hanno ripreso la frequenza alla celebrazione eucaristica. Sto pensando in particolare ai bambini del catechismo con le loro famiglie e ai ragazzi del dopo cresima. Tutto questo pone alle nostre parrocchie una nuova e inedita sfida pastorale. Quali azioni occorrerà mettere in campo per incontrare nuovamente queste persone?
«Credo che abbiamo in mano una grossa opportunità. Proprio perché c’è stata una mancanza, la ripresa della vita pastorale ci stimola adesso a investire di più nei ragazzi, a promuovere per loro nuovi spazi di accoglienza nelle parrocchie. Gli oratori non dovrebbero essere solo luoghi di riunioni o di iniziative programmate, ma luoghi aperti di incontro. Spazi di respiro per i giovani che vogliono stare insieme. Tutto quanto accaduto ci stimola anche a rinnovare la catechesi, non semplicemente in termini scolastici ma in forme che siano più esperienziali, che abbiamo il respiro della vita. Si educa alla fede e all’incontro con Gesù anche e soprattutto raccontando la vita. Certo le difficoltà che già adesso riscontriamo sono vere, ma lamentarsi serve a poco. Credo poi non si possa ignorare la modalità di approccio che nasce dai social. Questi strumenti non possono certo sostituire l’incontro in presenza, ma l’esperienza dei mesi del confinamento ci dice che i social network ci hanno offerto occasioni per tenere vive le nostre reti di relazione».
In pieno periodo di lockdown è stato dato alle stampe «Pronti a salpare…», documento programmatico che presenta una sintesi dei laboratori diocesani condotti tra 2018 e 2019 e nel quale si configurano alcuni scenari auspicabili per il futuro della nostra Chiesa sanminiatese. Un testo passato ingiustamente in sordina a causa degli eventi di stretta contingenza sanitaria. Come spera e desidera che questo scritto possa essere portato all’attenzione delle nostre parrocchie per essere tradotto in realtà?
«Si, è un documento importante perché frutto di un cammino sinodale di Chiesa, compiuto nella prospettiva anche di quanto formulato e richiesto dal Papa in Evangelii gaudium. Si tratta di un testo che giustamente hai definito “programmatico”. Riguardo alla ricezione, abbiamo già provveduto a farlo arrivare ai sacerdoti e proprio adesso ne stiamo curando la consegna ai catechisti. Permettimi però di sottolineare che questo scritto rappresenta un punto di partenza, perché nel leggerlo si scopre subito che c’è davvero molto da fare per realizzarlo. Ed è la comunità cristiana nel suo insieme che deve sentirsi stimolata a raccogliere queste indicazioni e ad attivare i percorsi suggeriti. Il documento allora non è da conoscere solo intellettualmente, ma soprattutto è da inverare. Poi è un testo che porta in sé anche il respiro del sogno, perché per costruire percorsi belli di Chiesa bisogna avere anche un po’ il coraggio di sognare e di osare».
«Pronti a salpare…» conteneva anche il programma dettagliato di avvicinamento al grande anno giubilare della nostra diocesi, che si inaugurerà il 5 dicembre 2022, in occasione dei quattrocento anni dall’erezione di San Miniato a sede episcopale. A questo punto, viste le incertezze legate al Covid, cosa cambia di quel programma (penso in particolare alla sua Visita pastorale iniziata lo scorso anno)?
«In effetti il documento conteneva un progetto triennale di preparazione al grande evento giubilare. Alla luce di quanto accaduto, quelle indicazioni vanno adesso lette considerando che tutto slitterà di un anno. Così anche la Visita pastorale, che si era interrotta a Fucecchio nel marzo scorso, e che riprenderà sempre dal quarto Vicariato, spero in primavera. Tutto slitta di un anno, compresi i pellegrinaggi diocesani. Il progetto complessivo, e la volontà di realizzarlo, rimangono inalterate».
Sappiamo che lei ha un sogno: portare papa Francesco a San Miniato e magari proprio in occasione del giubileo diocesano…
«Si, è vero. Il Santo Padre è stato da me invitato a venire a San Miniato almeno in due occasioni. Ho trovato nel Papa una conoscenza della nostra diocesi che mi ha sorpreso. Dalla diocesi di San Miniato proviene anche il suo successore, l’attuale arcivescovo di Buenos Aires. Certo va considerata la congerie di impegni che quotidianamente impegnano il Papa, con un’agenda che viene programmata anche con anni di anticipo. Comunque l’invito ufficialmente c’è. Mettiamo tutto nelle mani della Provvidenza».
Come sarà il nuovo anno pastorale in diocesi? Cosa ci attende?
«Ci attende l’avventura di una ripresa. Direi che la sfida è quella di riiniziare rinnovandoci. Questo riguarda la catechesi, le sfide che ci pone la carità o per esempio l’animazione liturgica, pensiamo a questo proposito all’uscita del nuovo messale e di come questo dovrebbe accompagnare un impulso di rinnovamento liturgico nella diocesi. Mi piacerebbe poi riflettere, insieme ai preti e al Consiglio pastorale diocesano, sull’esperienza che abbiamo vissuto nei mesi della quarantena: cosa ha detto la pandemia alla Chiesa di San Miniato? Dovremmo poi lavorare per intensificare la nostra capacità di solidarietà verso i più poveri. Ecco, sono solo alcuni spunti di riflessione. Come Chiesa dovremmo anche ritrovare una dimensione di disponibilità alla vocazione. Si, spero davvero che in questo nuovo anno pastorale partano in diocesi tanti nuovi cammini di vocazione, alla vita consacrata e matrimoniale».
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