È sempre suggestivo il colpo d’occhio che la spianata archeologica di San Genesio offre il 25 agosto, quando all’imbrunire, complici gli ultimi barbagli vespertini, l’area si veste del respiro dei secoli. Per la Messa in onore del patrono principale di San Miniato e della diocesi, quest’anno è stato chiamato a celebrare monsignor Fausto Tardelli, attuale vescovo di Pistoia.
Singolare il fatto che fu proprio Tardelli, durante il suo episcopato sanminiatese, a inaugurare la tradizione delle celebrazioni liturgiche nell’area archeologica di Vico Wallari, proprio lì dove sono le origini patronimiche della nostra Chiesa Cattedrale di Santa Maria Assunta e – appunto – San Genesio. Anche quest’anno, al netto delle limitazioni e prudenze legate all’emergenza sanitaria, la gente non ha disertato questo appuntamento e il colpo d’occhio in notturna dell’assemblea dei fedeli in preghiera è stato ragguardevole.
Il nostro vescovo Andrea ha voluto la presenza del suo predecessore Tardelli, come raccordo simbolico in avvicinamento al giubileo diocesano che inizierà il 5 dicembre 2022. In quest’ottica, per il 25 agosto del prossimo anno, è prevista la presenza nell’area archeologica tra La Scala e Ponte a Elsa anche di monsignor Paolo Giulietti, arcivescovo di quella Lucca sotto la cui giurisdizione episcopale Vico Wallari-San Genesio e San Miniato sono rimaste fino al 1622.
Nella sua omelia il vescovo Fausto ha intessuto una meditazione sulle letture liturgiche dal proprio dei martiri, richiamando in filigrana la figura di Genesio che, al di là dei contorni impalpabili della figura storica, ci racconta di un uomo che ha dato la vita per il vangelo: «Questo è quello che conta: un testimone che ha dato la vita per Cristo e che ancora oggi ci dà lezioni utili per la nostra vita cristiana». «Le letture ascoltate ci invitano – ha proseguito poi Tardelli – a tre forme di consapevolezza.
Nella prima, tratta dal Siracide, siamo in presenza di un canto di lode a Dio, perché colui che parla si è sentito salvato dal Signore e preso tra le sue braccia. Senza l’intervento di Dio nella sua esistenza egli si sarebbe perso. È allora la preghiera del martire, ma è anche la consapevolezza che deve avere ciascuno di noi. Noi siamo dei salvati. Salvati dalla Misericordia di Dio e dalla sua Grazia. Questa è la prima consapevolezza che dobbiamo avere fortissima».
La seconda consapevolezza è germoglia dalla seconda lettura, la lettera agli Efesini: «Siamo chiamati all’eredità eterna. Siamo chiamati ad essere Figli di Dio, ad essere santi come Dio è santo. Non siamo destinati semplicemente a questa terra e non siamo destinati a vivere una vita da inconsapevoli. E, badate bene, si tratta di una chiamata che è non solo per i martiri, nessuno di noi è infatti esente da questa chiamata di perfezione nell’amore. La vita ci porta spesso a tanti compromessi, facendoci smarrire questa consapevolezza. Ma noi siamo eredi del Cielo e ogni giorno dobbiamo “crescere”, per essere ogni giorno migliori di quello che eravamo il giorno prima. L’amore di Dio è certo esigente ma alla fine ci dà tutto, perché in esso è la pienezza della vita».
La terza consapevolezza, monsignor Tardelli la ritaglia direttamente dal vangelo: «Nella vita bisogna lottare, non è tutto facile. Mantenersi nella strada di Cristo vuol dire andare spesso contro vento. Gesù l’ha detto con chiarezza: “Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me”. Gesù non vuole qui invitarci al disprezzo dei cari ma solo dirci con chiarezza che nella vita bisogna combattere, scegliere ogni giorno il bene da compiere e la strada da percorrere. Non è tutto scontato. Occorre impegno e sacrificio, ma chi avrà perso la sua vita per il Signore la ritroverà poi in pienezza. Quindi ogni giorno ci è chiesto di decidere da che parte vogliamo stare: amore autentico o egoismo, giustizia o corruzione, verità o menzogna. È fatica certo, e in questo sforzo a volte ci si rimette la vita. Ce lo insegnano gli uomini giusti. Ma in quella che sembra una sconfitta balena anche una speranza nuova per il mondo. E alla fine è proprio questo che ci insegna san Genesio nel suo essersi speso per il vangelo».