Riflessioni

Papa Francesco e la teologia del popolo

di don Francesco Ricciarelli

«Le ideologie finiscono male, non servono. Le ideologie hanno una relazione o incompleta o malata con il popolo. Per questo osservate, che fine hanno fatto le ideologie del secolo passato? Sono diventate dittature, sempre», questo ricordava papa Francesco, durante il suo viaggio apostolico in America Latina (Discorso in Paraguay, 11 luglio 2015). Si comprende quanto sia improprio attribuire al Santo Padre un pensiero affine a quello della teologia della liberazione, quella corrente teologica sviluppatasi in America Latina che pone al centro della riflessione i valori dell’emancipazione sociale e politica dei poveri a partire da un’analisi di stampo marxista. Nel suo magistero, anche come arcivescovo di Buenos Aires, papa Bergoglio non ha mai nascosto le sue riserve sulle devianze politicizzate e rivoluzionarie che finiscono per ridurre la teologia a ideologia.

Come il futuro pontefice notava nel suo prologo al libro «Una festa per l’America Latina» (2005) di Guzmán Carriquiry, la teologia della liberazione ha dato certamente «apporti significativi ma, ultimamente, ha pesato di più la forte connotazione ideologica, con la sua riduttiva visione della realtà. Soprattutto dopo il crollo dell’impero totalitario del “socialismo reale”, queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre». Ancora nel 2007, il cardinal Bergoglio, alla Conferenza generale dei vescovi latinoamericani presso il santuario mariano dell’Aparecida, come presidente dell’assemblea intervenne per far prevalere nella discussione il primato della fede rispetto a quello assegnato al povero in nome di una lettura “ideologizzata”della realtà. Il pensiero di Papa Francesco si rifà piuttosto alla teologia del popolo elaborata dal pensatore argentino Rafael Tello, che vede nel popolo il soggetto della storia, portatore di una cultura da assumere nella pastorale ecclesiale. Lo stesso cardinal Bergoglio ha scritto, introducendo un libro sulla figura di Rafael Tello: «Quando ci avviciniamo al nostro popolo con lo sguardo del Buon Pastore, quando non veniamo a giudicare ma ad amare, troviamo che questo modo culturale di esprimere la fede cristiana resta tuttora vivo tra noi, specialmente nei nostri poveri. E questo, fuori da qualsiasi idealismo sui poveri, fuori da ogni pauperismo teologale, è un fatto. È una grande ricchezza che Dio ci ha dato» (cfr Ciro Enrique Bianchi, «Introduzione alla teologia del popolo», 2012).

In questa prospettiva, la spiritualità popolare è una strada maestra sulla quale lo Spirito Santo conduce milioni di fedeli: «La pietà popolare è una modalità legittima di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa e una forma dell’essere missionari; in essa si sentono le vibrazioni più profonde dell’America profonda. Essa è parte dell’originalità storico-culturale dei poveri di questo continente, e frutto di una sintesi tra le culture dei popoli originari e la fede cristiana. Pertanto – concludeva l’allora arcivescovo di Buenos Aires- si può dire che la pietà popolare è una forza attivamente evangelizzatrice che possiede al suo interno un efficace antidoto di fronte dell’avanzare del secolarismo. La Chiesa è chiamata ad accompagnare e a fecondare incessantemente questo modo di vivere la fede dei suoi figli più umili. In questa spiritualità c’è un ricco potenziale di santità e di giustizia sociale di cui dobbiamo valerci per la Nuova Evangelizzazione».