Perché solo i giovani… perché anche noi adulti non possiamo fare un viaggio de “Le 4 del Pomeriggio”? È iniziata con questa domanda l’avventura dei volontari e delle volontarie senior della Caritas diocesana nelle esperienze di conoscenza e di formazione in giro per l’Italia e all’estero che, da qualche anno, si propongono a ragazzi e ragazze in modo che possano entrare in contatto con realtà che sui territori affrontano i disagi sociali e promuovono il riscatto e l’impegno civile. Il nostro direttore, don Armando Zappolini, ha preso al volo la “provocazione” dei più anziani e, nell’estate del 2024, ha organizzato il primo viaggio per adulti “Le 4 del Pomeriggio”, meta la Campania, nelle zone di Casal di Principe, Aversa, Scampia, per incontrare associazioni, cooperative, Caritas locali che hanno fatto della resistenza alla camorra la loro missione e hanno creato lavoro e iniziative di aggregazione sociale per dare opportunità di un futuro migliore, nel rispetto della legalità, agli abitanti dei luoghi e delle periferie per anni in mano alla criminalità organizzata. Quest’estate, invece, la destinazione è stata la Sicilia, in particolare la zona del palermitano, a Cinisi, terra di Peppino Impastato, nella stessa Palermo, patria dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a Brancaccio, quartiere di don Pino Puglisi, e Corleone, terra in passato dominata da Totò Riina e Bernardo Provenzano. Dal 4 al 7 agosto, 25 volontari e volontarie, guidati dallo stesso don Armando, hanno potuto vivere un’esperienza intensa ed emozionante, che ha portato riflessioni, scoperte e nuove consapevolezze. Una riflessione più delle altre: a volte, è proprio vero che la storia non è quella che passa attraverso i media e l’opinione pubblica, la storia è quella di chi c’è stato, di chi ha vissuto… parafrasando una famosa canzone di Francesco De Gregori: “Perché è la gente che fa la storia”. Gli incontri con i testimoni diretti e con chi ha raccolto l’eredità di chi non c’è più e ha lottato per la verità e la giustizia hanno lasciato nei cuori dei partecipanti e delle partecipanti una memoria viva e pulsante che ha commosso, ma che ha anche fatto abbracciare la passione, la determinazione e la voglia di riscatto di persone che non hanno girato la faccia dall’altra parte, ma che hanno scelto da che parte stare.
Come don Pino Puglisi che ha costruito per il quartiere di Brancaccio una speranza e una strada nuova per bambini, bambine, ragazzi e ragazze. L’educazione e la cultura sono armi che fanno paura a tutte le mafie ed è proprio perché don Pino le promuoveva e diffondeva con azioni concrete che è stato ucciso il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno, davanti al portone di casa sua. Una casa che oggi è diventata Casa-Museo del Beato Giuseppe Puglisi e che, per opera di molti volontari e volontarie, è una testimonianza vivente di questa storia. Una storia che non si ferma, continua, si tramanda e si legge nel viso giovane di Chiara, un viso luminoso e capace di amore, perché – come diceva don Puglisi “Dio ci ama ma sempre tramite qualcuno”.
Ha scelto il coraggio di esserci anche Pippo Cipriani, sindaco di Corleone dal 1993 al 2002, terra che ha dato i natali a Liggio, Provenzano e Riina. Grazie a lui e alla gente, che lo ha accompagnato e ci ha creduto, il comune siciliano, famoso come territorio di mafia e di morte, ha vissuto una nuova primavera. L’ex sindaco è quello che confiscò i beni di Riina per restituirli alla collettività e a che ha ridato dignità alla città di Corleone e ai suoi abitanti. Pippo Cipriani ha accompagnato il gruppo di Caritas diocesana in un tour nella sua città, una città che ora non è solo frutto di un passato mafioso, ma che è il risultato dell’impegno di tante persone che scelgono la legalità. La sua passione e il suo amore per il suo territorio hanno colpito immensamente i volontari e le volontarie, che in questo incontro hanno scoperto quanto sia importante una scelta di cittadinanza attiva e di politica a favore del bene comune.
Il bene comune era anche l’obiettivo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che, a Capaci e Palermo, non si ricordano come eroi, ma come servitori dello Stato, quella parte dello Stato al servizio della giustizia e della verità. Ma la verità, a volte, è solo quella più comoda, come quella sulla loro morte che, secondo sopravvissuti e testimoni diretti, nasconde dettagli che ancora oggi non ci vogliono raccontare. Antonio Vassallo, il primo reporter ad arrivare sul luogo della strage di Capaci il 23 maggio 1992, conosce molti parti di quella storia che non vengono rivelate. Le conosce come cittadino di Capaci e come testimone. E anche lui ha scelto di non girarsi dall’altra parte, nel Giardino della memoria Quarto Savona Quindici (sigla radio della Fiat Croma della scorta del giudice Falcone, distrutta nell’attentato) racconta, soprattutto ai ragazzi e alle ragazze delle scuole, la memoria di chi c’era e di chi ha vissuto quegli anni. La ricerca della verità è stata anche il motore della storia che ha seguito la morte di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 ed etichettato come terrorista e autore di un attentato sulla ferrovia Palermo-Trapani. Peppino, invece, era stato legato su quei binari dai suoi carnefici e fatto saltare in aria. Per oltre 20 anni, la mamma di Peppino, Felicia Bartolotta Impastato, suo fratello Giovanni, la sua famiglia, i compagni di Peppino si sono battuti affinché trionfasse la giustizia e la verità. E così è stato. Peppino è una vittima di mafia alla quale lo Stato, dopo i depistaggi di alcune sue parti deviate, ha dovuto riconoscere di aver sbagliato.
Oggi Peppino vive nelle attiviste e attivisti di Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, che oggi continuano a tenere aperte le porte di quella storia e a far conoscere alle nuove generazioni l’importanza di una storia che appartiene anche a loro e che loro stessi devono testimoniare e difendere scegliendo da che parte stare. Perché – ricordando ancora una frase di don Puglisi – “Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto”.
Ed è questo il messaggio che ogni altro ogni volontario e volontaria della Caritas ha portato a casa. Ognuno di noi può fare qualcosa perché “la storia siamo noi”, tracciamo un cambiamento nel momento stesso che scegliamo da che parte stare. E la parte di Caritas San Miniato è sempre quella della giustizia sociale e, soprattutto dell’Amore, un amore che muove il mondo.