Di seguito l’omelia del Vescovo Giovanni (Letture: Si 51, 1-12 (NV) [gr 51, 1-8] ; Sal 33; Ef 1, 3-6.11-12; Mt 10, 34-39):
Siamo qui stasera a celebrare il nostro patrono San Genesio, nel luogo che ce ne ha consegnato la memoria e la devozione, questa antichissima Pieve che è madre della nostra Cattedrale e in cui siamo ricondotti ai tempi del primo annuncio della fede, che fecondò la nostra terra con il sangue dei martiri, come Genesio romano, come Miniato a Firenze, insieme a tantissimi altri.
Si capisce la verità delle parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato: «Sono venuto a portare non pace, ma spada» e la sua insistenza nell’affermare la necessità di una scelta radicale, di vita o di morte, per Lui. «Nulla anteporre all’amore di Cristo». Donare tutto a chi ci dono tutto se stesso, per avere la vita vera. Infatti, una vita senza senso, senza meta, non è vera vita, anche se la riempissimo di mille distrazioni o raggiungessimo mille successi. Sappiamo bene che ogni momento bello scappa e che ogni cosa che possediamo, più la stringiamo per non perderla, più si avvizzisce e ci lascia insoddisfatti.
Gesù propone il paradosso che ci toglie dalle apparenti sicurezze per donarci la vera certezza. «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me». Solo chi riconosce questa ultima e totale appartenenza d’amore a Cristo, può davvero amare tutti e tutto con pienezza, come Cristo. «Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà».
Genesio, attore a corte di Diocleziano, proprio nel suo mestiere di attore trovò Cristo. Lo trovò mentre lo sbeffeggiava… La verità si dimostra sola: anche se la strapazziamo in tutti modi, anche se la rinneghiamo, non perde la sua forza di attrazione, e il cuore umano la riconosce. Cristo lo aveva scelto e la scelta avviene per Genesio come per noi, fin dall’inizio, per come siamo fatti, creati capaci di riconoscerlo e nella misteriosa decisione della libertà di accoglierlo. «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità». Che stupore quando cominciamo a vedere Cristo che ci ama, quando scopriamo l’amore di Dio che ci ha chiamati dal nulla, scopriamo «il disegno d’amore della sua volontà… nel suo figlio amato» e ci rendiamo conto di essere «predestinati a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo».
La festa di oggi rinnova in noi la gratitudine perché nella nostra vita alla ricerca della verità e della libertà, Lui ci è venuto incontro, e ci ha liberato. «Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato» abbiamo ripetuto nel salmo. Ma ci ha liberato affinché, donandoci a Lui, siamo la sua Chiesa, ossia la comunità che porta al mondo la Sua presenza che salva. Quindi questa festa rinnova in noi, alla fine del tempo estivo e quasi alla ripresa della vita sociale ed ecclesiale, la coscienza di essere Chiesa missionaria.
Quanta strada dobbiamo fare come comunità, per sentire urgere in noi il compito di portare tutti a Cristo! Non si tratta di moltiplicare sforzi organizzativi o progetti da realizzare, cose pur necessarie, ma quasi di un dover togliere il superfluo, per giungere all’essenziale della missione: una coscienza grata e audace come quella di Genesio, che davanti al potere più grande del mondo, davanti all’Imperatore, non poteva tacere la grazia che aveva salvato la sua vita. Testimoni come lui di un amore infinito, fino a che Cristo lo renda stoffa di ogni nostro rapporto e di ogni azione.
Chiediamo al nostro Patrono che ci sostenga, in questo momento di ripresa del nostro cammino di Chiesa, uniti tra noi e con la Chiesa universale, raccolta intorno a papa Leone che da poco ci è stato donato, per essere così poveri di noi stessi da far trasparire la vera ricchezza che abbiamo, Cristo tra noi, redentore dell’uomo.
+ Giovanni Paccosi