La Chiesa di San Miniato ha un nuovo diacono. Si tratta di Tommaso Giani, 37 anni, originario di Pontedera, che è stato ordinato domenica 16 febbraio nella chiesa parrocchiale di Perignano da monsignor Andrea Migliavacca (» Leggi l’omelia del Vescovo).
Don Tommaso, laureato in scienze politiche, un passato da giornalista professionista, è cresciuto negli scout, che gli hanno trasmesso, ci dice, «una fede impastata di umanità, di impegno, di avventura e di viaggi con lo zaino». Un giovane arrivato nella nostra diocesi da Pavia, dove stava facendo il suo percorso di seminarista insieme al vescovo Andrea. A chi gli chiede qualcosa di sé racconta che la sua più grande passione è pedalare «soprattutto nelle grandi città, con una bici pieghevole che mi porto dietro ovunque. Ma mi piace anche moltissimo leggere. Le mie letture più assidue sono il vangelo e i quotidiani, che divoro in quantità industriale per cercare fra le pieghe delle notizie, storie di speranza da approfondire, diffondere e incontrare». Siamo andati a trovarlo per un’intervista che ci racconti un po’ più da vicino qualcosa di lui.
Come e quando è arrivata la chiamata del Signore?
«La scelta di diventare prete è stata ispirata dall’incontro con don Andrea Gallo, a Genova. Ho vissuto nella sua comunità di accoglienza gli anni dell’università. Ho vissuto una messa in cui invece che sulle panche ci si radunava in cerchi concentrici intorno all’altare. Una messa in cui la preghiera dei fedeli durava mezz’ora, piena di testimonianze di vita e di autenticità. E al termine della quale ci si spostava in massa in sala da pranzo per continuare a stare insieme fra pastasciutte, barzellette e riflessioni. Di quella messa mi sono innamorato».
Quali sono state le figure che maggiormente hanno influito sul tuo percorso umano e cristiano?
«Negli anni trascorsi con don Gallo ci sono state altre persone che mi hanno insegnato tantissimo, dentro la comunità. Cito fra gli altri Domenico Cataldi, un rampollo di famiglia nobile che ha lasciato tutto per dedicarsi anima e corpo a don Andrea e al suo sogno di accoglienza per tutti. Ma anche don Federico Rebora, il parroco-contadino che ha accolto don Gallo mettendogli a disposizione i locali della canonica dove è nata la comunità. E Liliana Zaccarelli, la mamma della comunità, esempio di dedizione e di forza di volontà infinite».
«Diaconia» in greco significa «servizio», come sogni di declinare il tuo servizio all’interno della Chiesa?
«In accordo col vescovo spero di continuare sul percorso di vita che sto seguendo attualmente in diocesi, dando l’anima per gli adolescenti delle scuole superiori, mettendomi a disposizione delle parrocchie, e condividendo il tetto con i più poveri della città».
Recentemente un amico sacerdote mi confidava di essersi trovato in treno, in un vagone di tifosi romanisti diretti a Genova per la partita con la Sampdoria. Questo sacerdote mi parlava del suo profondo senso di smarrimento al momento in cui si è chiesto: «Cosa ho da dire io, come credente in Cristo, a queste persone? Quale annuncio fare?». Il suo avvilimento nasceva dal percepire con chiarezza due mondi paralleli, impossibilitati a incontrarsi in una «grammatica» condivisa. Se parto da questa lunga premessa è perché tu sei tifoso, guarda caso, proprio della Samp, che segui nelle domeniche casalinghe a Marassi. Ebbene, come uomo di Chiesa, mi domandavo se la tua esperienza rispetto a una «regione di frontiera» come questa, non sia profondamente differente? Quali ammaestramenti potremmo trarne in un’ottica di evangelizzazione?
«La mia esperienza nella curva, o meglio nella gradinata, della Sampdoria è un polmone di spiritualità. La gradinata è per me una straordinaria palestra di relazioni umane, con tante persone fra loro diversissime che si ritrovano vicine e abbracciate ogni domenica: dall’animatrice dell’Azione cattolica al ragazzone pieno di tatuaggi. Io sono lì prima di tutto perché in gradinata ci sono cresciuto. Sono uno di loro, certo con le mie peculiarità. Quest’anno per esempio sto regalando quintalate di focaccia di Recco a tutti i tifosi ospiti che vengono in trasferta a Genova. Una mossa un po’ da pirata, che spiazza, ma la polizia mi lascia fare e i tifosi avversari ringraziano. Un piccolo seme di vangelo in un mondo dove a volte la rivalità è vissuta in modo esagerato».
Hai già una grande esperienza nell’animazione e conduzione di gruppi giovanili. Sei inoltre insegnante di religione nella scuola superiore. Come si fa a essere credibili agli occhi dei ragazzi di oggi? C’è una ricetta per avvicinarli e appassionarli a un “discorso di senso”?
«Penso che per poter comunicare ai ragazzi, questi vadano in primo luogo ascoltati. Cosa ascoltano? Di cosa parlano? A cosa si appassionano? Provare a parlare la loro lingua, essere coerenti con ciò in cui si crede, trovare un terreno comune. Solo così può consolidarsi un rapporto, e loro possono capire quanto gli vuoi bene, e appassionarsi dei tuoi stessi sogni. Ma il primo passo verso di loro dobbiamo farlo noi educatori, anche se costa fatica e ci mette in discussione».
Ci parli un po’ della tua recente esperienza al Centro di accoglienza notturno di Santa Croce?
«È una esperienza che mi sta salvando la vita. Quella di una dimensione abitativa condivisa nel segno dell’accoglienza è uno dei punti fermi della mia vocazione. Avevo bisogno di rinsaldare le mie radici. Ringrazio il vescovo e don Armando per avermi fatto questo regalo. Abitare con i più poveri, e mescolarsi con loro, è una bussola preziosa per non perdere la strada del vangelo».
» Omelia del Vescovo Andrea per l’Ordinazione di Tommaso Giani