Caritas Diocesana

4 del pomeriggio, una testimonianza dalla Turchia

Anna Chiara, Giorgia, Andrea, Veronica e don Luca

Grazie al gemellaggio tra la Caritas Toscana e la Caritas Turchia, con l’aiuto e il sostegno di Caritas Italiana, dal 5 al 12 giugno abbiamo avuto la fortuna di essere il primo gruppo di volontari italiani a vivere un’esperienza di conoscenza di un contesto cattolico diverso dal nostro. L’unica chiesa cattolica di Trabzon (l’antica Trebisonda), dove eravamo, è Santa Maria di Trabzon, che è anche la struttura che ci ha ospitato. Trabzon conta circa 700 mila abitanti, di questi solo 50 fanno parte della comunità cristiana; perciò la grande maggioranza della popolazione è musulmana.

In Turchia il nazionalismo religioso è molto forte, per questo non è consigliabile per un cristiano indossare croci o simboli che rimandino alla cristianità, anche le suore e i preti non possono vestirsi con l’abito della propria congregazione. La chiesa che ci ha ospitato porta i segni della difficile integrazione dei cristiani in questo contesto. Ad esempio proprio sopra il portone d’ingresso c’è una finestra con il foro di un proiettile, oppure in una delle panche della chiesa c’è il segno degli spari che hanno ucciso don Andrea Santoro nel 2006.

A tal proposito, don Andrea era un sacerdote romano, un rivoluzionario, che ha dedicato parte della sua vita a risollevare le comunità cristiane in Turchia. Forse, proprio per questo ne ha pagato le conseguenze con la vita. Ancora oggi, la chiesa di Santa Maria conserva la giacca che indossava al momento della sua uccisione. La comunità cristiana qui è molto eterogenea: troviamo iraniani, alcuni turchi e africani. Ci siamo sentiti subito accolti dalle suore, da padre Leonardo, ma anche dai ragazzi della parrocchia che non hanno esitato a mostrarci la loro vivacità. Infatti, abbiamo passato le giornate a giocare, oltrepassando i limiti linguistici e culturali.

I ragazzi ci hanno insegnato il valore della fede, l’importanza della comunità e ci hanno stupito per il loro coraggio, per la loro capacità di sorridere, nonostante la loro condizione di rifugiati che non permette loro di lavorare, sempre in attesa di un visto che consenta loro di entrare in Europa. Non è mancato il tempo di visitare i luoghi in cui è nata la cristianità, monasteri ed ex chiese che oggi sono diventate moschee. Non a caso la Turchia è chiamata “terra degli apostoli”. Si è trattato di esperienze che ci hanno arricchito non solo dal punto di vista culturale, ma anche spirituale; infatti le testimonianze delle suore e di padre Leonardo hanno mosso in noi riflessioni e domande.

Siamo contenti che altri ragazzi potranno continuare questo gemellaggio, perché solo stando qui è possibile capire l’importanza di praticare la fede in libertà.