Sono incoscienti o più semplicemente molto coraggiosi, Andrea Giuntini e il gruppo dei Vincanto, a proporre questo «Canto per la terra ferita», uno spettacolo sulla terra che lacrima sangue, su una terra che stenta a sopravvivere, che cerca senza soluzione di reagire a uno sviluppo sconsiderato.
Non si può naturalmente non fare almeno riferimento all’enciclica del papa, «Laudato si’», del giugno 2015, una bandiera rivoluzionaria, di un modo di rivedere anche il proprio essere cristiano, che ha però lasciato il mondo – nonostante tutto – indifferente.
La deforestazione dell’Amazzonia, che si continua a chiamare il polmone della terra, ma che si sta progressivamente rinsecchendo, e ancora il Polo Nord il cui ghiaccio sta scomparendo, con gli orsi bianchi che sono allo stremo, non sono che semplice esempio, di un mondo alla deriva, un mondo che purtroppo anche lo spettacolo dei Vincanto non riesce a modificare, lo lascia nella sua disastrosa prospettiva di recessione assoluta. Tra l’altro il pubblico dello spettacolo era munito di mascherine e disinfettanti, come a dire che siamo alla frutta. Se non capiamo che anche la pandemia, il virus che ha colpito globalmente la vita (e naturalmente le economie) della terra intera, è solo un allarmante segnale del futuro a cui abbiamo condannato il pianeta. Insomma tanto coraggio a disegnare, con la voce, con il canto, con la musica, questo che non è un futuro, ma è semplice attualità.
Ecco allora che soprattutto la parte letteraria, quella cioè recitata con il consueto impegno da Andrea Giuntini, ci appare – come dire – scontata, risentita, ma comunque importante, perché chi ha orecchie ascolti.
Siamo davanti a un vero e proprio sermone, intervallato da bellissime canzoni, da suoni quasi naturali, come quelli, forse un po’ troppo insistenti, dei Kamballa, i bastoni della pioggia. Il lavoro non è infatti di musica e recitazione, forse per la prima volta (almeno in modo così consistente) il gruppo, che collabora ormai da vent’anni, ha dato vita ad una vera e propria operina, con la voce che si innesta sulla bellissima musica e con risultati sempre molto affascinanti, anche se a volte un po’ troppo freddi. Certo lo spettacolo ha bisogno (siamo alla prima assoluta, ci sarà tempo) di sciogliersi un po’, di diventare meno accademico, appunto un po’ meno artificioso. Anche perché, se i testi erano un po’ risentiti, più originali apparivano le musiche e i canti, eseguiti con la consueta maestria, da Ilaria, Alessandro e Simone. In genere a cappella, con l’accompagnamento di strumenti poco consueti, a dare spessore a uno spettacolo che il foltissimo pubblico (credo che le manifestazioni di quest’anno dell’Istituto del Dramma Popolare abbiano sempre registrato un successo assoluto, con una sfilza di tutto esaurito) ha dimostrato di apprezzare molto, con un prolungato applauso, intervallato dalle grida entusiaste decretate da alcuni. Insomma, anche il fatto di premiare questa formazione, offrendogli la possibilità di esibirsi nella piazza centrale, davanti al pubblico delle grandi occasioni, è risultato vincente e rappresenta una novità nel cartellone della Festa del Teatro, certo favorita dalle restrizioni dovute a Covid 19, in ogni caso segnale di un ottimo risultato in tutti i sensi, sia come apprezzamento del pubblico, sia come qualità scenica.
Foto: Danilo Puccioni e Francesco Sgherri