«Sic nos in sceptra reponis»

Un saggio sullo stemma araldico di San Miniato

di Antonio Baroncini

San Miniato è sempre stata definita una città di cultura per le numerose scuole che qui risiedevano e di arte per le pregiatissime chiese di cui è ancora ricca e ricercata. L’insegnamento era una delle occupazioni professionali della città più sentite e più perseguite.

Un luogo di cultura, oltre a scuole pubbliche di vario ordine e grado, era costituito dal Seminario vescovile, dove il ciclo di studi iniziava con le medie, proseguiva con i cinque anni del liceo classico e terminava con il corso di quattro anni di teologia in preparazione agli ordini sacri per i futuri sacerdoti. Oltre a questi luoghi vi era il noviziato dei frati minori conventuali francescani con scuole al loro interno. La città era una concentrazione di studi che arricchivano, anche economicamente, non solo la città stessa ma anche tutto il circondario.

Questa vocazione alla cultura non è andata persa e molti uomini e donne, sacerdoti e religiosi, oggi, allora allievi, cercano, con capacità letteraria, di renderla ancora viva ed efficiente nello scrivere e pubblicare saggi, testimonianze di vita, illustrazioni storiche di eventi di cui la città ed il suo territorio ne sono ricchi. Michele Fiaschi, un samminiatese doc, esperto di araldica civica, perito araldico, svolge tuttora ricerche storiche, realizza stemmi ed emblemi per i comuni italiani, collaborando con istituzioni nazionali. Sabato 26 gennaio nella sala consiliare del Comune di San Miniato, Fiaschi ha presentato il suo ultimo libro «Sic nos in sceptra reponis», (così ci restituisci agli antichi onori) in cui descrive la storia araldica del gonfalone comunale. Riscopre nel libro percorsi storici che non solo la città di San Miniato ha attraversato nei secoli, ma di un intero territorio, sempre conteso, tra la potenza di Pisa ghibellina e la Repubblica Fiorentina.

Ne 1337 il comune di San Miniato al Tedesco si dotò di statuti, in essi fu descritto anche lo stemma della città: «ovvero sia su un gonfalone, un pavese, uno scudo o una targa venga dipinto un leone bianco con una spada in zampa con una corona in testa su un campo rosso». Michele, con attenta ricerca storica, elenca tutte le fasi di trasformazione dello stemma, dal 1337 ad oggi. Importante e storicamente eloquente è il motto che sta alla base dello stemma, raffigurante un leone su sfondo rosso, «sic nos in sceptra reponis», breve locazione tratta dall’Eneide (29-19 a c), riportato ed edito da Giovanni Perso Migliorati, alla fine del’700, scritto «per ringraziare i Granduchi di Toscana ed in segno di riconoscenza del popolo samminiatese». Una definizione di cui San Miniato si è arricchito e messa ben in risalto sullo stemma è il titolo di “città”. Solo con decreto del Capo dello Stato i comuni si possono fregiare con tale titolo, in base al fons honorum, fonte degli onori, insigni per ricordi, monumenti storici e per l’attuale importanza. Questi comuni, insigniti dal titolo di città, possono utilizzare al di sopra del proprio scudo una corona turrita, formata da un cerchio d’oro aperto da otto pusterle di cui solo cinque visibili. Lo stemma oggi è completo. Possiede tutte le caratteristiche di una comunità che evoca il proprio passato per capire il presente nella prospettiva di prepararsi alle nuove sfide sociali del futuro.

«Esprime aspirazione presente a recuperare il prestigio passato. Aspirazione che oggi appare imprecisata in forza del difficile computo del dare e dell’avere scritto dalla storia» (don Luciano Marrucci).