Testimonianze

Ritrovare Dio da profughi

di Sylvestre Billa

Mi chiamo Sylvestre, perché sono nato nella notte di San Silvestro, in una cittadina del Burkina Faso che si chiama Garango a 90 Km a sud da Ouagadougou, la capitale. Sono nato in una famiglia cristiana e povera: sono il terzo di 5 figli. Mia madre lavorava come commessa in un negozio e mio padre faceva il contadino nella nostra terra raccogliendo patate, fragole, cocomeri…; quando era necessario mia madre andava ad aiutarlo. Per darci una mano uno zio di mio padre mi ha preso in casa sua, quando non avevo ancora un anno, e mi ha cresciuto nella sua famiglia nella capitale. Sono rimasto con loro fino a 6 anni. Poi a 7 anni, dovendo iniziare la scuola, sono tornato nella mia città.

Ho studiato fino alla terza superiore, poi mi sono fermato perché non c’erano più soldi in casa. Allora a 18 anni ho fatto domanda per entrare in una scuola di formazione e addestramento militare iniziando i corsi nel 2010. C’erano molte richieste per questa scuola, perché dopo c’era davvero la possibilità di lavorare. Purtroppo ho potuto fare solo un anno, perché tra il 2011 e il 2012 è avvenuto un rovesciamento del governo e il presidente è stato allontanato e sono stati licenziati tutti quelli dell’apparato amministrativo e militare. Ho dovuto allora lasciare anche questa scuola per cercare lavoro a Garango, ma con la mia identità e la mia precedente formazione mi hanno chiuso ogni strada.

È a quel punto che mi sono reso conto che non avevo nessuna possibilità di fare la vita che avevo pensato e dentro di me è cominciata a crescere la rabbia. Ho passato mesi e mesi facendo solo lavori da poco, poi un giorno ho deciso di partire. Non sapevo dove andare, non volevo andare in nessun posto particolare, volevo solo lasciare quel paese che mi impediva di vivere una vita migliore di quella presente fatta di fatica e di stenti. Sono partito da solo, e con un giorno di viaggio sono arrivato in Niger. Perché andare ad est, verso il deserto? Non lo so, non sapevo nemmeno cosa ci fosse ad est, solo che era la strada più diretta per lasciare il paese. In Niger sono rimasto 15 giorni e ho capito che anche lì c’era solo povertà e nessuna possibilità di un buon lavoro. Quindi ho deciso di continuare e andare verso la Libia, dove si diceva ci fosse lavoro. Insieme ad altre 12 persone, stipati su un pick-up come sardine, ho viaggiato per 3 settimane. I primi due giorni non ci siamo mai fermati, poi abbiamo fatto una sosta, perché il mezzo doveva essere riparato. Non incontravamo villaggi, né controlli per i documenti, ma solo bande armate che volevano soldi. Queste bande prendono tutto e quando, dopo le prime ruberie, non trovano più niente sfogano la rabbia picchiando.

Alla fine siamo arrivati in Libia dove sono rimasto quasi un anno. Anche se avevo i documenti, dovevo stare attento a non farmi trovare dalla polizia, perché lì a nessuno interessa chi sei o da dove vieni, ma solo i soldi e se non li hai ti buttano in prigione. Un giorno mentre mi trovavo a Tripoli mi ha telefonato un mio cugino che era arrivato in città per partire verso l’Europa. Per la prima volta ho sentito parlare dei viaggi in mare. A Tripoli avevo trovato un lavoro ed un alloggio, ma il paese è in mano a gruppi criminali, che si contendono il potere: un giorno ad esempio, subito dopo aver ricevuto la paga per un lavoro che avevo fatto, sono stato aggredito, minacciato con un coltello e poi derubato. Insomma non mi sentivo al sicuro e così ho deciso di nuovo di partire. La traversata in mare era molto rischiosa, ma poteva essere un’opportunità.

Quando ho saputo che mio cugino si trovava nel campo dove vengono radunati tutti quelli pronti a essere imbarcati, sono andato anch’io. Sono rimasto nel campo una settimana senza cibo e con poca acqua, nella sporcizia e tra i parassiti, finché una mattina alle 4 ci hanno fatto salire su un gommone. Eravamo 25 persone. Dopo circa otto ore di viaggio, imbarcavamo acqua e la benzina era alla fine. Ci ha raccolto una nave della Croce Rossa: stavo male, mi girava la testa avevo freddo e le bolle sul corpo. Arrivati a Lampedusa sono stato in ospedale per 15 giorni, poi ci hanno portato ad Agrigento e da lì in Toscana. Era febbraio del 2016. Durante il viaggio nel deserto ho pregato. Sul mare ho pregato, mentre il gommone si impennava su un’onda e poi cadeva giù come a sprofondare in una fossa. Mi sono reso conto che ci sono forze più grandi di noi, forze che non abbiamo in prima persona, ma che sentiamo.

La mia preghiera verso Dio è stata questa: «Nessuno è più grande di Te e quando arriverò in un posto sicuro starò sempre con Te». Ho aspettato un anno dall’arrivo in Toscana, vicino a Fucecchio. Ho imparato la pazienza e l’italiano, ho potuto studiare per poi fare domanda dei documenti e di un lavoro. Poi ho chiesto di prendere i sacramenti. Ho iniziato il catechismo. Ho capito che è importante farsi aiutare, saper chiedere aiuto, avere pazienza ed essere socievoli. Devo riconoscere che ho ricevuto tanto dal Signore, ho trovato tante persone che mi hanno aiutato. Il cammino non è finito: non sapevo dove andare all’inizio e non so ancora dove andrò domani. Ma adesso sono qui e ringrazio Dio per esserci arrivato.