Unità Pastorale di S.Maria a Monte

Le reliquie dei pastorelli di Fatima

di Antonio Baroncini

L’Unità Pastorale di Santa Maria a Monte accoglie dal 10 marzo al 7 aprile le reliquie dei Santi Francesco e Giacinta di Fatima, ospitandole nelle chiese di Montecalvoli, San Donato, S. Maria a Monte, Cerretti: un’iniziativa sorprendente ed esaltante all’invito di santità. Il ciclo del percorso è iniziato domenica 10 nella chiesa di S. Maria a Monte con la Santa Messa presieduta dal vescovo Andrea.

Nell’ammirare la bellissima statua della Madonna del Rosario, il primo pensiero spazia sulla grande, maestosa, lucente piazza di Cova di Iria, dalle dimensioni imponenti, dove al centro si trova il Monumento del Sacro Cuore di Gesù, percorsa dai pellegrini in ginocchio, dall’inizio fino alla piccola tettoia che contiene una colonna bianca, indicante l’albero dove si palesò la Vergine. Domina questo grandioso spazio, che viene definito il Recinto delle Preghiere, la Basilica de Nossa Senhora do Rosario de Fatima, nel cui interno si trovano le tombe dei due pastorelli, elevati alla gloria degli altari. Francesco e Giacinta non sono stati personaggi che hanno testimoniato la loro santità compiendo imprese clamorose, «nel silenzio di ogni istante», ma ragazzi umili e gioiosi pastorelli, a cui la Vergine Maria ha affidato un grande compito: portare a tutti gli uomini il dono della preghiera, del rosario, per la pace nel mondo intero, vivendo in fraterna concordia, «abbattendo tutti i muri, superando ogni frontiera, uscendo verso tutte le periferie, manifestando la giustizia e la pace di Dio» (dalla preghiera di papa Francesco, recitata sulla loro tomba). Durante le apparizioni, Francesco poteva solo vedere, senza ascoltare né parlare, mentre Giacinta poteva vedere e sentire senza però comunicare. Solo Lucia dos Santos, la loro cugina, ebbe la facoltà di parlare con questa Signora, sempre avvolta in una luce splendente.

«Le chiese: “Di dove vieni?”. “Sono del cielo”. “E che cosa volete?”. “Sono venuta a chiedervi che veniate qui sei mesi di fila, il giorno 13 a questa stessa ora. Poi vi dirò chi sono e che cosa voglio. Tornerò qui ancora una settima volta”. “E anch’io andrò in cielo?”. “Si. Ci andrai”. “E Giacinta?”. “Si. Ci andrà anche lei”. “E Francesco?”. “Pure”. Poi ci disse di recitare il rosario tutti i giorni e che avremmo avuto molto da soffrire, ma che la grazia di Dio sarebbe stata il nostro conforto». La santità di questi due fratellini di appena nove anni per Giacinta e dieci per Francesco, sta proprio nell’aver sopportato, nella sofferenza, la volontà divina, portando nella loro tenera età «il dolore del mondo, la distruzione delle guerre, il pianto della famiglia umana».

Che cosa è la santità? Il santo non è un eroe e neanche un uomo che non sbaglia mai. Il santo è l’uomo vero, in quanto è colui che tende a vivere «la coscienza della propria dipendenza da Dio in ogni momento». A questi due bambini questa definizione non è certamente adeguabile, poiché la santità era la loro giovanissima età, piena di gioie, di allegria, di giochi. «La proclamazione a santi di questi due bambini ci indica una piccola verità che la santità è qualcosa che riguarda tutti ed è alla portata di ognuno. Papa Francesco con questo gesto della canonizzazione ci ricorda l’universale chiamata alla santità di ciascuno». Questi bambini sono proclamati santi, perché depositari di un messaggio così dirompente ed esclusivo che li ha resi protagonisti pur non volendolo essere. «La scelta della Vergine con l’apparizione a Cova da Iria, sembra proprio farci idealmente riprendere in mano il canto del Magnificat dove vengono rovesciati i potenti dai troni ed innalzati gli umili». Tutto questo ci ricorda che la storia è sempre nelle mani di Dio e non dei potenti. La santità di Giacinta e Francesco è un esempio ed un richiamo a tutti noi, poiché ognuno di loro ha un profilo spirituale proprio nel cammino della santità. Abbiamo bisogno di modelli, abbiamo bisogno di santi che si impongono al mondo come esempio, perché di questo il mondo ha bisogno.

«Di parole ce ne sono anche troppe, afferma don Divo Barsotti, e le parole non dicano nulla; quello che è importante invece è l’esempio di una vita». Ecco l’esempio concreto di questi pastorelli se pur bambini. Alla domanda della Signora, la Madonna del Rosario: «Siete disposti a offrirvi al Signore, pronti a fare sacrifici e ad accettare volentieri le sofferenze che Egli vorrà mandarvi?». Lucia di slancio, a nome anche degli altri, rispose: «Si, lo vogliamo». Sta qui il segreto e la molla della loro santità, concretizzata nell’atto di accettazione, presentandocelo come esempio, che anche oggi irradiamo come «due candele che Dio ha acceso per illuminare l’umanità nelle ore oscure ed inquiete» (Papa Giovanni Paolo II).