Liturgia e dintorni

Il tempo della Quaresima

di Antonio Baroncini

Siamo in Quaresima, un tempo che inizia quaranta giorni prima della Pasqua con il rito in cui il credente si sottopone all’austero segno dell’imposizione delle ceneri, che è strettamente unito al concetto di penitenza. È un atto che proviene dai primi secoli della Chiesa, la quale già nei secoli V e VI organizzò la «penitenza pubblica», scegliendo le cenere ed il sacco per indicare il castigo di coloro che avevano commesso peccati gravi.

La storia ci narra che in questi secoli i pentiti si presentavano ai presbiteri, confessavano le proprie colpe e se erano pesanti, ricevevano un vestito di cilicio impregnato di cenere, restando esclusi dalla Chiesa, «con la prescrizione di ritirarsi in qualche abbazia per espiare, nella preghiera, le loro colpe». Le Comunità monastiche erano ed ancora oggi sono centri spirituali in cui la vita, in solitudine, che i monaci conducono «con l’animo premente di gioioso desiderio» aiutano a sostenere nelle loro povere ma fervide preghiere, il cammino di espiazione e di purificazione. Una scelta di vita che ancora oggi ha un suo alto valore e non sempre comprendiamo la forza penetrante che può portare alla nostra coscienza per gustare un pacato refrigerio di serenità. Abbiamo paura della solitudine, non ci sentiamo vivi se non siamo attorniati continuamente dalla gente.

La solitudine, però, può essere anche una benedizione, una realtà preziosa che ci mette a contatto con la ricchezza del nostro animo. Il monaco, nel silenzio della sua cella, questo ci insegna e ci spinge ancora oggi, nell’atto penitenziale delle ceneri, a racchiuderci nel silenzio ed ascoltare la voce silenziosa della nostra anima. Il significato del rito di imporre le ceneri sulla testa dei penitenti, rappresenta un gesto di una grande simbolica verità, che va oltre la spettacolarità dell’atto, ricordandoci la finalità ultima dell’uomo: «Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris». Le ceneri sono segno della debole e fragile condizione dell’uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere». (Gen 18,27). Il cristiano non può non sentire queste sue limitazioni nella sua entità umana. Ricevere la cenere è soprattutto segno di penitenza, di chi si accorge del proprio agire iniquo e decide di convertirsi.

Le Sacre Scritture ci riportano l’esempio di Giuditta che invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: «Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore». (Gdt 4,11). La storia ci conferma quanto l’uomo abbia riconosciuto, nel suo cammino, di essere molte volte guidato dalla sua superbia e presunzione, cercando, però, la forza di ritornare all’umiltà, richiamando alla memoria il comune destino mortale. Chinare la testa per accettare le ceneri, vuol dimostrare un notevole sforzo umano per trascorrere una vita purificata e rigenerata dall’amore senza fine di Cristo Signore.