Quella volta che il Papa...

Don Agostino racconta la Visita pastorale

di Francesco Fisoni

È arrivato a piedi, come già aveva fatto a Castelmartini, in spalla uno zaino come gli eterni marciatori e in mano una valigia: dentro gli abiti liturgici e il pastorale. Un «commesso viaggiatore» per conto del vangelo. Non c’è che dire, sta inaugurando un nuovo stile di prossimità e di vicinanza con le nostre parrocchie il vescovo Andrea in questa sua visita pastorale alla diocesi. E la risposta della gente è di grande entusiasmo, a giudicare anche dai feedback che arrivano sui social alla pubblicazione delle foto di questo itinerario a tappe. La nuova stazione di sosta è stata – domenica scorsa – Larciano Castello, uno dei luoghi più suggestivi della diocesi, abbarbicata su un dolce promontorio, dove per arrivare ci si deve inerpicare tra ulivete, mulattiere e vecchie carrabili. Esattamente quelle percorse, pedibus calcantibus, da monsignor Migliavacca.

Abbiamo raggiunto telefonicamente don Agostino Cecchin (per tutti affettuosamente don Beniamino), parroco a Larciano Castello per una chiacchierata su questa visita. Don Agostino, alla tenera età di 84 anni, conserva intatto il buon umore e lo spirito dei vecchi parroci di campagna.

Don Agostino, avete visto arrivare il vescovo a piedi. C’è una foto molto bella, pubblicata sui social, che più di tutte esprime il senso di questo cammino del nostro presule: vi si vede monsignor Migliavacca procedere da solo, per salire alla vostra parrocchia. Ricorda tanto il tema della «salita al monte» dell’uomo di Dio. Che effetto vi ha fatto vedere arrivare il vescovo come un antico pellegrino?

«Gli mancava solo il baculum, il bastone pastorale dei santi vescovi del medioevo (ride). Vederlo arrivare è stato commovente, emozionante. L’immagine di una Chiesa che è madre e che esce, s’infanga i piedi sulle strade del mondo, per andare in cerca dei suoi figli». L’arrivo del vescovo in una parrocchia è come una grande festa; e prima delle grandi feste si fanno sempre, per così dire, le pulizie di casa, si fanno i grandi preparativi. Come si è preparata la tua parrocchia a questo incontro? «Abbiamo fatto le pulizie igieniche – ride di gusto – dai bagni, ai saloni, alle camere fino alla chiesa, lustrata di tutto punto. C’era un buon profumo di pulito».

E i cuori e le anime come si sono preparate a questo incontro? gli chiedo ridendo con lui.

«Ah beh, i cuori e le anime dei miei parrocchiani erano pronte da tempo. Aspettavano con gioia questo incontro. Abbiamo aspettato il vescovo nella piazza rimessa a nuovo e inaugurata il 10 novembre scorso. I ragazzi avevano curato l’accoglienza in ogni dettaglio. Abbiamo dato una lustrata anche alla casa canonica intitolata a monsignor Paolo Ghizzoni, e in chiesa ho fatto apporre una gigantografia celebrativa dell’evento che raffigura il vescovo Andrea benedicente, con sullo sfondo la nostra chiesa parrocchiale. Ho fatto suonare a distesa, come in un mattino di Pasqua, le cinque campane del campanile e all’arrivo di sua eccellenza sulla piazza prospiciente la chiesa, la banda della parrocchia ha attaccato a suonare. C’erano anche il sindaco e il maresciallo dei carabinieri. Una festa di popolo insomma». Cosa hai detto al vescovo quando è arrivato? Si vede una bella foto in cui ti inginocchi davanti a lui. «Gli ho detto: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”».

Cosa vi ha detto il vescovo?

«Durante la messa che è seguita il vescovo ha fatto una bellissima omelia sul vangelo del giorno, festività di Cristo Re. Dopo di ché ha spiegato al popolo il significato profondo della Visita pastorale». Quanto durerà questa Visita? «Si svolgerà per quattro giorni consecutivi (terminata mercoledì scorso, ndr). Il vescovo ha confidato alla gente il suo desiderio di fare “vita di parrocchia”, di incontrare i giovani, le famiglie e gli anziani, di visitare gli ammalati e i luoghi di lavoro che qui ci sono. In occasione di questo evento abbiamo posizionato una lapide in Chiesa che ricorderà a futura memoria la visita di monsignor Migliavacca».

So che c’è un significativo risvolto che riguarda i paramenti liturgici con cui il vescovo ha celebrato messa domenica da voi. Vuoi parlarcene?

«Per l’occasione il vescovo ha celebrato i riti d’ingresso e la Messa solenne con una casula appartenuta a San Giovanni Paolo II. Una vera e propria reliquia che papa Karol mi regalò il 28 febbraio 1986, dopo che ebbi il raro privilegio di poter concelebrare Messa con lui nella cappella del suo appartamento privato in Vaticano. Sai, all’epoca ero segretario del vescovo Ghizzoni, che avevo accompagnato a Roma il giorno prima per le consuete conferenze della Cei. Mentre il vescovo Paolo era impegnato nell’assise plenaria con i suoi confratelli, io, con massimo sprezzo del pericolo mi presentai in Vaticano e con candida ingenuità chiesi di poter dire Messa all’indomani col Papa. Pensavo mi prendessero per matto. Mi fecero un sacco di domande, quasi un interrogatorio di polizia. Poi mi congedarono. La sera in albergo mi arriva una telefonata: «Don Agostino, se vuol dire Messa col Papa, si faccia trovare domattina alle 5.30 davanti al “Portone di bronzo”». Stentavo a crederci. Non dormii tutta la notte per l’emozione. Il giorno dopo alle 6 celebravo, io da solo, col Papa. Assistevano alla Messa quattro suore. Sono passati quasi 34 anni da allora ma mi ricordo tutto come fosse accaduto ieri. Alla fine di quella indimenticabile Messa, il Papa mi ricevette nel salone delle udienze. Lì trovai il coraggio per dirgli che, nonostante i miei 51 anni suonati, ero sacerdote da soli due anni: «Santità sono un prete novello!». Il Papa rimase stupito, fece due passi indietro e mimando una mossa da pugile mi assestò un pugno sulla spalla, poi si avvicinò al mio orecchio e con grande affetto mi disse: «Prete novello sì, ma tanto vecchio…». Non capita tutti i giorni di esser preso a pugni da un santo – ride.