(Letture: Ap 21, 1-5a.6b-7; Sal 121; Mt 11, 25-30)
Il primo ricordo che ho della mia vita e della mamma Raffaella è del giorno in cui è nato Luigi. Avevo tre anni e vedo la mamma nel letto e Luigi appena nato con una testa di riccioli neri, il babbo Vittorio, Natalia. Ma di quel giorno, il primo e più remoto che ho nella memoria, ho anche un altro ricordo: la televisione che mostra la fumata bianca dell’elezione di Papa Paolo VI.
La nostra casa è stata sempre così: un luogo dove la storia, la fede le dimensioni del mondo e la semplicità delle cose familiari sono sempre stati insieme. Un luogo di vita, in cui abbiamo sentito l’essere cristiani come un “di più” di vita, che ci ha fatto sentire sempre di trovarci nell’inizio di quel «cielo nuovo» e della «terra nuova» promessi dall’Apocalisse. «Io faccio nuove tutte le cose»: Gesù che fa nuovo tutto.
La mamma Raffaella, e il babbo Vittorio, con la loro fede, il loro amore reciproco e verso tutti, sono per noi figli e nipoti e, credo per chiunque abbia conosciuto Raffaella, la visibile testimonianza che la promessa che abbiamo ascoltato nella prima lettura non è solo un sogno. Le circostanze di tutti, la normalità di una famiglia, in cui però abbiamo visto e toccato, respirato, la fede, non come un sentimento staccato dalla realtà, ma come una forza capace di modellare la vita, di dare forma a una comunione concreta, a una capacità di speranza, di cordiale accoglienza, di nobile “povertà”, in cui peraltro non ci è mancato mai nulla (la Provvidenza – anche questa – non è un sogno).
La mamma Raffaella è – lo sappiamo bene noi che l’abbiamo avuta accanto tutta la vita – una di quei «piccoli» di cui parla il Vangelo, che hanno accolto la Sua chiamata e ogni giorno, rinnovando il proprio sì alla vocazione al matrimonio, nella comunione con Vittorio, al servizio dei figli e poi di nove nipoti, affezionata ai fratelli, e in modo tutto speciale a Alfredo, e al servizio della comunità (non dimentichiamo che Raffaella è stata sempre coinvolta nella vita ecclesiale e sociale, fino nella politica, eletta due volte al consiglio di quartiere). Magari rinunciando a sviluppare quella sua passione per la pittura, per lo scrivere e il raccontare, che le riuscivano così bene, lei ha preso il suo giogo su di sé, ma ci ha mostrato quella leggerezza di cui parla Gesù, quella dolcezza (che forse è proprio il suo tratto più distintivo) che sperimenta chi segue Gesù e gli vuol bene.
Negli ultimi anni, segnati anche dalla malattia, con Vittorio, la loro casa è diventata quasi un monastero: una regola di preghiera, una scansione del tempo che invece di essere monotona ripetizione, mostrava la perenne novità che scaturisce in ogni istante, quando il pensiero, il cuore, la coscienza di sé sono pieni della coscienza di Dio che in ogni secondo ci dona tutto. Chiusi tra quattro pareti, ma con nel cuore il mondo intero, la Chiesa, il Papa, le circostanze della società e delle famiglie, le persone sempre presenti al ricordo e alla preghiera.
Una stagione di grazia anche questa, fino a questi ultimi giorni faticosi, in cui sabato, negli ultimi momenti più lucidi, sapendo di lasciarci presto, la mamma diceva il suo sì a quest’ultimo passo definitivo, ringraziando per tutti i doni ricevuti.
«Ecco io faccio nuove tutte le cose. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine. A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell’acqua della vita. Chi sarà vincitore erediterà questi beni; io sarò il suo Dio e d egli sarà mio figlio».
Ora ti accompagniamo pregando a quest’eredità, in questa figliolanza di Dio in Gesù, che è l’unica meta all’altezza di quella sete di bene, di amore, di verità con cui hai vissuto ogni istante. Figlia nel Figlio.
Preghiamo per te, offrendo la preghiera più grande, il sacrificio di Gesù per noi, e tu prega per noi.
+ Giovanni Paccosi