Omelia per la Veglia di Pentecoste

San Miniato, Cattedrale ore 21.30
18-05-2024

 

«Fiumi d’acqua viva – dice Gesù – sgorgheranno dal cuore di chi lo accoglie» (cfr. Gv 7, 38). E – commenta Giovanni – parlava dello Spirito Santo, che ancora non c’era. Lo Spirito Santo non era ancora venuto, quando dopo l’ultima cena diceva così agli apostoli, ma c’era lui, Gesù tra loro. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù. Si vedeva attraverso di Lui, le Sue parole, i Suoi gesti, il suo sguardo, il suo volto: come sarà stato guardare in volto Gesù? Come doveva essere evidente che in Lui c’era una pienezza, quella che ognuno desidera per la propria vita. Il suo Spirito era il suo spirito divino, il suo modo divino di pensare.

Chi può immaginare come ci guarda Dio, come ci vede Lui? Eppure, c’è un verso bellissimo di Dante nel Purgatorio dove immagina Dio, che prima ancora di creare l’anima di ognuno di noi, cioè il nostro io, usa un verbo bellissimo, dice «la vagheggia» (Purgatorio XVI, 85), cioè si compiace, la guarda piena d’affetto prima ancora che ci sia. Ci guarda con amore infinito, prima ancora che esistiamo. Anzi, esistiamo perché lui ci guarda così.

E Gesù guardava le persone con lo sguardo pieno della sua coscienza divina, dell’amore infinito, per cui davanti a lui ogni persona ha un destino eterno di bellezza, di felicità, di vita, di pienezza. Lui ci guarda così. Infatti Gesù guardava in questo modo quelli che noi invece non vogliamo nemmeno vedere. Lui si avvicinava ai lebbrosi, ai ciechi che chiedevano l’elemosina per la strada. Non per un moralismo fine a se stesso: era il suo sguardo che riconosceva, proprio in chi è più debole, la grandezza dell’amore per cui Dio l’ha creato. Il suo sguardo umano, divino e umano insieme, rivelava quella pienezza a cui ognuno è chiamato. Guardassimo anche noi ogni persona che abbiamo accanto, riconoscendone il destino eterno, l’amore infinito da cui nasce… ogni persona. Non potremmo distogliere gli occhi da chi è più in difficoltà, non potremmo pensare solo per noi.

Gesù poi, con i gesti, con i miracoli, manifestava la potenza senza limiti dello Spirito, che crea l’universo intero, così infinito che se uno ci pensa si sente perduto. Cosa sono io? Sono niente! Eppure per questo niente che è ciascuno di noi, Gesù è venuto a dare la vita sulla croce per dirci, appunto, che lo Spirito del Signore ha un altro nome che Gesù ci ha rivelato Il nome dello Spirito del Signore è “amore”, amore creativo, amore creatore, amore che ripara, che fa rivivere, come le ossa secche della profezia d’Ezechiele, le nostre ossa secche, le nostre debolezze e i nostri peccati, il nostro male. Lo fa rivivere perché ci riporta all’origine, a questa fonte che non smette mai di sgorgare, che è il Signore dentro di noi.

Oggi a voi cresimandi, come in qualche momento a ognuno di noi, è dato lo Spirito di Gesù, cioè Gesù ci unisce con sé e ci fa pensare come pensa Lui, vedere gli altri come li vede Lui, amare come ama Lui. Ci permette questa cosa che sembrerebbe impossibile. E più stiamo attaccati a Cristo, più il suo Spirito ci trasforma e ci fa diventare quello che davvero noi siamo chiamati ad essere dalla creazione del Signore. E l’amore può diventare la sostanza di ogni rapporto. Per cui, che uno si stia divertendo con gli amici o stia lavorando duramente, o stia riposando, o stia soffrendo in un letto d’ospedale, tutto questo può diventare il gesto d’amore con cui io rispondo all’amore del Signore.

Ognuno di noi lo sa, lo stesso lavoro fatto per dovere, per obbligo, è una prigione, e invece quando è fatto per amore, ci libera. Una volta mi sono trovato in una riunione di parenti di persone malate di SLA. La maggior parte di quelli che erano presenti, avevano una persona cara che era morta da pochi giorni e ognuno di loro parlava lì fra persone che potevano capire quello che dicevano, magari in altra occasione non l’avrebbero detto. Ognuno di loro diceva: «Non cambierei nulla di quello che mi è accaduto, anche tutta questa sofferenza che ho condiviso con la persona che amavo e che ora non c’è più ed è andata in cielo». Mi ricordo una persona diceva: «Io alla mia mamma non avevo mai dato tanti baci, non l’avevo mai carezzata tanto, non avevo mai sentito il valore della sua persona pur nella debolezza estrema, come l’ho potuto vivere in questo tempo». Cioè, anche la circostanza che sembrerebbe più assurda, può diventare spazio in cui, rispondendo con il nostro amore, lasciando passare questo fiume impetuoso dello Spirito Santo dalle nostre mani, dai nostri pensieri, può diventare – anche la cosa che sembrerebbe più assurda – un momento di vita e di resurrezione.

Lo riceviamo e siamo chiamati a darlo al mondo, perché l’opposto della Torre di Babele della prima lettura, non è l’omologazione in cui tutti sono uguali, ma l’armonia. Come per i prati fioriti di maggio: uno li vede e si rallegra per la bellezza che hanno, ma se va a vederli da vicino non c’è un filo d’erba, non c’è un fiore uguale all’altro, perché Dio è infinitamente creativo. E così Dio ha messo al mondo ognuno di noi perché con la nostra originalità unica – non ce ne sarà mai un altro come ognuno di noi – possiamo rispondere a quest’amore e far diventare il mondo armonia, che sembra impossibile oggi, dove tutto diventa meccanico e si distrugge chi è diverso per affermare quello che a noi sembra il giusto. Invece il Signore è capace di prendere l’originalità di ognuno e metterla in un’armonia che diventa una bellezza senza fine.

Chiediamo al Signore che il suo Spirito ci trasformi e ci renda piantagione di uomini e donne nuovi, che portano nel mondo quell’amore che tutti desiderano, ma che senza Cristo e il suo Spirito sarebbe impossibile.

+ Giovanni Paccosi