Omelia per la solennità di Tutti i Santi

San Miniato, Cattedrale ore 11
01-11-2024

 

(Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12)

 

Pensando a questa festa mi viene sempre a mente una cosa che mi accadde negli anni di seminario. Incaricato di tenere le chiavi dell’archivio storico, un giorno aprii un antico Messale con le pagine di pergamena, forse del decimo secolo. All’inizio del Messale, come anche nei libri liturgici attuali, c’era un calendario con i giorni di ogni mese. A mano a mano erano stati aggiunti, con le calligrafie diverse dei secoli che passavano, i santi che via via la Chiesa canonizzava: c’erano, aggiunti a penna, san Bernardo di Chiaravalle, San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio da Padova, Santa Caterina da Siena. Si capiva perciò che quel Messale era stato usato fino al sedicesimo secolo, quando cominciarono a esistere i messali stampati. Quante Messe – pensai – celebrate davanti a quel libro,  giorno per giorno, quanti uomini e donne che, conquistati da Cristo, lo seguirono senza esitazione, e attingendo alla Sua grazia, nella confessione, nell’eucaristia, resero reso carne ciò che dice l’apostolo Giovanni: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro».

Cosa hanno i santi più di noi? Niente, se non il loro sì, risposta alla chiamata, il loro lasciarsi afferrare da Gesù. «Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe». I santi sono gente comune, che dice sì a Gesù, perché cerca la verità, la bellezza, la giustizia, l’amore, la felicità, e l’ha trovata in Lui.

Ci interpellano non sulla nostra perfezione, ma sulla lealtà che abbiamo con il nostro cuore che cerca, con il nostro cuore che desidera, che chiede la pienezza. Forse questo è il dono più grande da chiedere ai Santi, alla loro intercessione: di essere anche noi la generazione che cerca il volto di Dio, ossia il senso e la pienezza del vivere. Poi fa tutto la Sua grazia, e la promessa – ma ogni promessa di Cristo è già esperienza presente, che si compie nella speranza – è la beatitudine.

Non la falsa allegria che vediamo spesso attorno a noi, ma la gioia piena: il Paradiso. Noi possiamo intuire la bellezza del Paradiso nei momenti di gioia che ci son dati di vivere, nei momenti di libertà sperimentata in questa grande compagnia che è la Chiesa, in cui vediamo i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati, pieni di letizia nel dare tutto perché tutto hanno già, avendo l’amicizia di Cristo.

Gesù però parla a noi, dice «beati voi», «rallegratevi ed esultate». Lo dice a noi ora. Rallegriamoci e desideriamo, rallegriamoci e mendichiamo la semplicità dei santi. Contemplare il loro numero immenso («Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua») ci rende più facile capire che basta il nostro sì, perché tutto lo fa la sua grazia.

Gesù ci «ha detto: “Vi ho chiamato amici” (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù “abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16). Lo ha ricordato Papa Francesco nella sua ultima enciclica (leggiamola con attenzione) “Dilexit nos” pubblicata una settimana fa.

Oggi, come nei venti secoli nei quali il cristianesimo ha percorso la storia per far giungere a noi e al mondo di ora il Vangelo, saranno i Santi, con il loro umile sì e la loro testimonianza di questo amore senza limite, a salvare il mondo.

 

+ Giovanni Paccosi