(Letture della Festa liturgica di Santa Maria Maddalena: 2 Cor 5, 14-17; Sal 62, Gv 20,1-2.11-18)
«Donna, perché piangi?», dice Gesù a Maria Maddalena. Anche un’altra volta nel Vangelo, incontrando la vedova di Nain – quella povera vedova che portava il figlio adolescente al cimitero –, Gesù si era rivolto a lei dicendo: «Donna, non piangere».
Sembrano parole impossibili da dire davanti al dolore della morte, soprattutto quando percepiamo l’ingiustizia della morte, della morte di questi nostri fratelli, proprio qui in Cattedrale, il 22 luglio 1944. Erano venuti a cercare rifugio alla violenza della guerra, e qui li colpì in modo inesorabile.
Queste parole il Signore le rivolge anche a noi, per dirci che è possibile una speranza anche davanti a tutta la violenza e la sopraffazione, l’odio che producono morte, distruzione, disumanità; è possibile perché la nostra speranza – e lo diciamo da cristiani – è la tomba vuota di Gesù.
È Lui che è passato attraverso l’ingiustizia, la sofferenza innocente, è Lui il primo dei risorti che dice a ogni persona di ogni tempo, di ogni luogo, che c’è una vittoria sulla morte, che è già nel presente, e che si realizzerà nel futuro.
Nel presente forse non la vediamo, ma è la vittoria che si manifesta nei gesti di amore, di riconciliazione, di perdono, di pace, di costruzione di una fraternità in mezzo alla gente, che tutti desiderano, ma che sappiamo essere così difficile da sperimentare.
A volte anche nelle stesse famiglie ci si divide, si arriva fino all’odio, eppure chi non vorrebbe amare fino in fondo le persone più vicine? A volte anche nella convivenza di una nazione, di una città succede che ci si divide, e cos’è che può farci superare queste divisioni?
Riconoscere che ognuno di noi, ogni persona ha un valore infinito, che non possediamo e non possiamo possedere, perché ogni persona è rapporto con l’infinito. Dall’infinito Gesù è venuto a prendere su di sé, e a portare con noi, la croce dell’esistenza quotidiana per dirci, appunto, che non è l’ultima parola.
Maria Maddalena pensava l’avessero portato via e invece Lui era risorto, era di nuovo in piedi, dicendo anche a noi che ci possiamo rimettere in piedi, che possiamo camminare insieme e costruire la pace, perché nella sua vittoria sulla morte è annunciata già la vittoria che comincia a esserci ora, non come utopia di un futuro – che nel presente non si può vedere – ma come inizio di una novità, destinata a compiersi al termine di una storia, di cui però Lui fa ognuno di noi protagonista.
Chiediamo al Signore che la memoria di questi nostri fratelli e sorelle, che qui sono morti ottantuno anni fa, l’offrire questa Eucaristia per loro, per la loro gioia eterna, sia invito per ognuno di noi a farci costruttori – o come diceva spesso Papa Francesco – «artigiani della pace».
+ Giovanni Paccosi