(Letture: Si 51. 1-12 (NV [gr 51, 1-8] Sa/33: Efl, 3-6.11-12: Mi 10„ 34-39)
“Non vi è altro Dio all’infuori di quello che io ebbi la fortuna di conoscere. Io non adoro né servo altro che lui: a lui solo starò sempre unito, dovessi anche soffrire mille morti“
Sono le parole attribuite a San Genesio nel momento del suo martirio, davanti all’imperatore Diocleziano nel 303 dopo Cristo. Mentre recitava una parodia blasfema del battesimo, lui attore preferito dell’imperatore, scoprì per grazia che ciò che stava scimmiottando era vero, e non volle più fingere, proclamando la sua fede. Con la morte dette il vero senso al suo ruolo nel mondo e nella vita.
L’abbiamo appena ascoltato nel vangelo: «Sono venuto a portare non pace, ma spada. Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me, chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me; Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà».
Certo è stupefacente che il patrono della nostra diocesi sia san Genesio: San Miniato, altro grande martire degli inizi del cristianesimo nella nostra regione, che pur dà il nome alla città e alla diocesi, cede il passo all’attore convertito. Tempo fa sentivo dire da uno studioso che probabilmente San Miniato ha scelto come patrono San Genesio proprio perché è una città del teatro. In effetti sarebbe più logico affermare il contrario: che San Genesio, il cui culto troviamo già nel settimo-ottavo secolo qui a Vico Wallari, abbia fatto della nostra città un centro di grande teatro, anzi in cui il teatro è riportato al suo vero compito, che è un compito non meramente ricreativo, ma profondamente umano.
Anche stasera forse verrebbe la tentazione di sentirci a teatro. Un luogo suggestivo, il palco, le luci, una rappresentazione in abiti preziosi… Ma che differenza c’è tra il palco di una rappresentazione teatrale e ciò che celebriamo oggi?
La liturgia, il rito, realizzano fino in fondo ciò che ogni buona opera teatrale vorrebbe: immergerci nel mistero della nostra esistenza umana, attingendo un poco di verità per comprenderla e viverla meglio. Qui stasera emerge la verità che ci ha consegnato Gesù: saremmo foglie secche portate dal vento del male, dal nulla se non fossimo invece frutto della misericordia di Dio che ci libera dal vuoto e ci dà vita.
«Sei stato mio riparo e mio aiuto, e mi hai liberato, secondo la grandezza della tua misericordia», ci ha detto la prima lettura. Ma più ancora ci porta al cuore della realtà la lettura di san Paolo che guardando a Gesù, scopre che è lui il protagonista del “Gran teatro del mondo” (come lo chiamò Calderon de la Barca) nel quale il Padre «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere figli adottivi nel Figlio amato» E aggiunge: «In lui siamo stati fatti anche eredi, per essere lode della sua gloria, noi che abbiamo sperato nel Cristo».
Ognuno di noi, nella comunione con Cristo ha una parte da protagonista nell’opera di Gesù, che non è una recita vuota, ma l’opera della salvezza di ogni persona umana, oggi, della salvezza del mondo. Come Genesio, dare testimonianza a Cristo vuoi dire vivere con la speranza in lui, con la certezza che nella Sua misericordia è salvata la nostra esistenza. «Mi assalivano da ogni parte e nessuno mi aiutava; mi rivolsi al soccorso degli uomini, e non c’era. Allora mi ricordai della tua misericordia, Signore e dei tuoi benefici da sempre, perché tu liberi quelli che sperano in te».
La nostra comunità diocesana crescendo nella comunione e nella gioia della fede possa essere protagonista di quest’opera drammatica e bellissima della testimonianza a Cristo, speranza per tutti.
Nella carità vissuta, nell’essere creature nuove che suscitano negli altri la speranza di una libertà inaspettata e possibile, che solo in Cristo, nella sua infinita misericordia si può trovare.